Una saracinesca in legno ad apertura orizzontale sigilla ermeticamente il palco, prima che la scena si apra. Una metafora: una gabbia, da cui non si può uscire ma nemmeno entrare, una realtà che non è nient’altro che una scatola chiusa, della quale non possiamo vederne e capirne il contenuto senza prima aprirla.
È “Terra Santa”, in scena come prima nazionale nella splendida cornice del Teatro dei Filodrammatici, dal 7 al 23 gennaio, per la regia di Corrado Accordino, co-produzione Skenè Company e La Danza Immobile, adattamento teatrale dell’omonimo libro di Mohamed Kacimi (edito da Elliot).
Kacimi, nato in Algeria e trasferitosi a Parigi negli Anni ’80, vince il Premio della Giuria al Grand Prix de Littérature Dramatique 2007 proprio con la rappresentazione di “Terra Santa”. È inoltre autore di “Quando Nina Simone ha smesso di cantare” (Einaudi) e “Boqala” (Donzelli).
“Terra Santa” è si una storia che potrebbe parlare di una città qualsiasi del Medio Oriente, ma soprattutto è il racconto di una realtà complessa, quella della Striscia di Gaza e della questione israelo-palestinese.
“Terra Santa” narra le vicende di due famiglie: nella prima Carmen è da poco sparita misteriosamente ad un check point e sua figlia Imen, ventenne, è rimasta solo a casa con il gatto Gesù, sognando il momento in cui il suo ragazzo uscirà di prigione per sposarlo; nella seconda Yad, ex combattente ed ora disoccupato e ubriacone, è sposato con Alia, levatrice, e attraverso principi laici istruisco il figlio Amin, ventunenne universitario.
Palestinesi e Israeliani, i primi affamati e prigionieri, i secondi terrorizzati e costretti alla militarizzazione. Così ognuno si aggrappa a qualcosa: Imen al gatto Gesù, Yad all’alcol dell’arak e ai libri di Dostoevskij, il soldato israeliano Ian alla musica di Stravinskij, Alia al suo lavoro di levatrice e Amin all’estremismo religioso. Ma vessazioni israeliane, violenza palestinese, odio che genera odio e religione concepita in accezione negativa, creano un’escalation che sfocia nella violenza e finisce in tragedia.
Rappresentazione di raro equilibrio, è preziosa in quanto svela un nuovo punto di vista, super partes rispetto alle posizioni standard (che siano filoisraeliane o filo palestinesi). Reale, truce, tagliente, con un focus che parte dal basso e dall’interno. E apre gli occhi allo spettatore.
Pièce che si distingue anche per la complessità e profondità dei personaggi, mai confusionari grazie alla sublime interpretazione di Alberto Astorri, così reale nel ruolo dell’ironico e disilluso Yad, e di Claudia Negrin, perfetta nella parte della donna mediorientale di carattere (Alia), oltre che all’impeccabile regia di Accordino. Sorprendente Francesco Meola (Amin). Completano il cast i bravi Michele Bottini (Ian) e Silvia Pernarella (Imen). Armonioso l’accompagnamento musicale che trasporta lo spettatore in Medio Oriente, così come sapiente è la scenografia semplice e completa al tempo stesso.