Nell’adattamento di Geppi Gleijeses e con protagonisti Vanessa Gravina e Giulio Corso, la pièce drammatica non concede tregua alla tensione, pur senza rinunciare a tratti di comicità. Tratto dall’omonimo romanzo di Agatha Christie, Testimone d’accusa è uno spettacolo considerato, da molti critici, come il più bel dramma di genere giudiziario mai scritto e la messinscena diretta da Geppi Gleijeses mantiene senz’altro fede a tale fama.
Un ritmo progressivo e sempre serrato, i colpi di scena finali che si susseguono come una scarica di mitragliatrice, qualche battuta comica e un pizzico di ironia inglese calata sapientemente per alleggerire i momenti più drammatici, sono gli elementi di una ricetta che funziona efficacemente e la platea risponde con risate e applausi.
L’adattamento, inoltre, mantiene uno svolgimento sempre molto chiaro nonostante una trama articolata e anche tutti i meccanismi giudiziari sono ben conservati e capaci di restituire un realismo ancora attuale e di interessare anche gli spettatori del settore.
La critica ai cavilli di un sistema giudiziario talvolta cieco
Agatha Christie, partendo da uno spunto autobiografico, scrisse Testimone d’accusa nel 1925, a cui seguì il successivo adattamento teatrale nel 1953. È la storia di una donna tradita dal marito più giovane che, a seguito dell’assassinio della signora French, viene accusato di omicidio.
L’unica che può scagionarlo è proprio la moglie, ma è qui che iniziano i colpi di scena e la posizione di Leonard Vole diventa sempre più drammatica, mentre gli avvocati di accusa e difesa si affrontano come fossero su un ring.
In Testimone d’accusa gli avvocati strumentalizzano le cause per la propria gloria personale, come sfida intellettuale a sé stessi e per prevalere nella rivalità tra colleghi. E alla fine non sarà il tribunale a fare giustizia. Soprattutto è un’opera nella quale la costruzione giudiziaria mantiene una grande precisione e verità.
Buone interpretazioni, ma poca musica
L’interpretazione di Paolo Triestino è senz’altro la migliore: grande intensità, carisma che emerge dalla voce tonante, portamento e carattere adeguati al ruolo di Sir Wilfrid Robarts. Molto buona, inoltre, l’intesa scenica tra lo stesso Triestino e Antonio Tallura, nei panni dell’avvocato Mayhew, che in diverse scene si dimostra uno sparring partner di livello.
La performance di Giulio Corso (Leonard Vole) è molto buona, sia per la presenza scenica che per la mimica: prima sembra un ingenuo credulone, poi urla e si dimena disperatamente nei passaggi più drammatici, infine è capace di rivelarsi senza scrupoli, mantenendosi sempre credibile e reale.
Vanessa Gravina è affascinante e misteriosa nell’interpretazione di Roamine Heilger, mentre Paola Sambo, nella parte della governante di Mrs. French, ha la giusta comicità per interpretare una delle migliori scene, la più divertente, dell’intera pièce. Originale l’idea di reclutare sei spettatori per interpretare la giuria popolare.
La scenografia dello studio di Sir Wilfrid è molto semplice, ma ricercata, dalla quale spicca l’idea del camino luminoso che contribuisce a creare l’atmosfera. Questa semplicità contrasta, efficacemente, con la scenografia del tribunale che è più articolata, austera e grigia.
Parsimonioso ma buono l’utilizzo delle luci, che forse possono essere maggiormente utilizzate per dar più enfasi in alcune scene. Scarso l’accompagnamento musicale, mentre talvolta risulta fastidioso il ticchettio della macchina da scrivere (originale del 1948) che dovrebbe essere utilizzato meglio.
In conclusione Testimone d’accusa è una rappresentazione davvero interessante, qualitativa e con un cast capace di contribuire concretamente al realismo del dramma.