Lirica
THAïS

Thaīs tra santità e carnalità al Teatro alla Scala

Thaīs 
Thaīs  © Brescia-Amisano

Opera decadente, in cui si intrecciano misticismo e sensualità, Thaīs di Jules Massenet ha felicemente debuttato al Teatro alla Scala, per la prima volta nell’edizione originale francese, a ottant’anni esatti dalla sua unica apparizione, allora però in traduzione italiana.

La trama, ispirata all’omonimo romanzo di Anatole France, narra della cortigiana Thaīs che da prostituta intraprende un percorso che la porterà alla redenzione, grazie ad Athanaël che, al contrario, da ascetico monaco cenobita rivelerà progressivamente la sua indole di represso sessuale ed alla morte di lei si dispererà per non averla potuta possedere, a suggello della massima evangelica per cui “lo spirito è forte ma la carne è debole”. 

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Thaīs

Eccesso e decadenza

Alle prese con una drammaturgia non sempre ricca d’azione, Il regista francese Olivier Py, affiancato dallo scenografo e costumista Pierre-André Weitz, crea uno spettacolo estremamente efficace, riempiendo i vuoti narrativi con controscene ricche ed articolate, in cui anche gli eccessi sono opportunamente calibrati, da una parte per non turbare troppo il tradizionalista (per non dire passatista) pubblico italiano, ma allo stesso tempo per non negargli il brivido della trasgressione.

La vicenda viene trasposta in un primo ‘900 dai colori accesi e sgargianti che però non rischiarano appieno una cupezza di fondo, in cui, anche nei momenti apparentemente più allegri, il sorriso della festa si tramuta nel ghigno beffardo di una danza macabra. Tutto però viene filtrato attraverso la lente dell’ironia: l’epoca di Massenet era infatti anche quella di Offenbach e della sua opera buffa e questo aspetto viene opportunamente sottolineato dalla regia.


I monaci cenobiti sono visti come una sorta di esercito della salvezza, che si occupa dei più deboli ed opera in una struttura ispirata alle chiese protestanti di stampo anglosassone, delimitata da un alto muro di mattoni neri e caratterizzata da una piccola cappella presente in scena per tutta la durata dello spettacolo. A farle da contraltare il palazzo di Nicias, ovvero il luogo di perdizione, che ricorda i locali parigini stile Moulin Rouge, in cui la sensazione di decadenza viene combattuta a colpi di eccessi quali nudi integrali, figure antropomorfe, la presenza costante della morte e, come sintesi tra sacro e profano, una donna crocifissa a seno nudo.

Py, molto intelligentemente, osa ma non eccede, ricorrendo a soluzioni che all’estero ormai sono di casa da decenni, ma che da noi riescono ancora ad “épater le bourgeois” e che gli valgono applausi compiaciuti.

Un’ottima concertazione ed un valido cast

Se lo spettacolo visivamente funziona e conquista, altrettanto si può dire dell’aspetto musicale. 
Lorenzo Viotti riesce a toccare il cuore della partitura grazie ad una concertazione in cui si fondono in perfetto equilibrio decadentismo, romanticismo e sensualità. La narrazione è sempre fluida ed attenta alle esigenze del palcoscenico, grazie ad un’orchestra estremamente duttile e ricca di sfumature.

Marina Rebeka è interprete ideale per il ruolo di Thaīs. Forte di una tecnica eccellente e di una linea di canto impeccabile segue perfettamente l’evoluzione psicologica del personaggio dalla sensualità all’espiazione in un’interpretazione maiuscola. Al suo fianco Lucas Meachem è un Athanaël dal timbro morbido ed elegante nel fraseggio ma che a tratti manca di incisività e carisma, in parte penalizzato anche dal costume, un cappotto scuro, che gli conferisce un’aria di anonima burocraticità. 

Molto bravo Giovanni Sala nel ruolo di un Nicias sessualmente ambiguo: la voce è limpida e ben proiettata e l’interpretazione efficace e carismatica. Rimarchevoli anche le prove Caterina Sala e Anna-Doris Capitelli (Cryoble e Myrtale), e Federica Guida (La Charmeuse). Come sempre magnifico il coro diretto da Alberto Malazzi.

Visto il 22-02-2022
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)