Questa rappresentazione di Tosca, opera arcinota al grande pubblico e particolarmente cara agli amanti del repertorio pucciniano, riesce nell’importante intento d’intessere sapientemente il nuovo con la tradizione, senza che eccessi dell’uno o dell’altra vadano a discapito della buona riuscita dello spettacolo.
La messinscena è rispettosa dell’intreccio e della collocazione storica dei fatti. I costumi, le scene e l’atmosfera sono proprio quelli immaginati da Puccini e dai suoi librettisti.
Non mancano però, come detto, elementi di novità che rendono ancora più preziosa la rappresentazione. In particolare, colpisce positivamente la presenza di uno specchio situato alle spalle dei cantanti, di dimensioni tali da riuscire a riflettere l’immagine dell’intero palcoscenico. Non si tratta di un vano esercizio di tecnica registica; non è neppure un mero artifizio scenografico. Lo specchio ha, invece, la funzione di gettare luce sulla psiche dei personaggi, fornendo allo spettatore un diverso angolo visuale da cui osservare in maniera introspettiva la realtà psicologica vissuta dai protagonisti della vicenda. E ciò si comprende appieno quando esso viene usato – con una accorta sapienza – alla fine del primo atto per descrivere la coralità che caratterizza la fine della prima parte della storia.
La direzione dell’orchestra del maestro Benini è di grande equilibrio. Non manca mai la ricerca della sonorità più idonea a descrivere l’azione scenica. Si costruisce così una orchestra dalla dinamica di rara bellezza, in cui colore e timbrica rappresentano un elegante filo conduttore della storia. Buona – ma non particolarmente esaltante – la esibizione dei cantanti, forse un po’ sottotono rispetto alla grandezza della interpretazione della musica strumentale. Si segnala, tuttavia, una buona esecuzione di Renato Bruson, storico interprete del repertorio verdiano e donizettiano, che non è affatto a disagio con il grande impegno che richiede la messa in atto del complesso ruolo del barone Scarpia.