La Tosca di Hugo de Ana, regista argentino che mette la sua firma anche su scene, luci e costumi, quella scelta dall’Arena di Verona nel cartellone 2019.
Dopo Aida, anche per Tosca bisogna dare i numeri: ecco la replica numero 111 dal 1937, ed è la versione di Hugo de Ana, regista argentino che mette la sua firma anche su scene, luci e costumi, quella scelta dall’Arena di Verona nel cartellone 2019; sono passati tredici anni e quattro riedizioni, ma questa produzione del capolavoro pucciniano non esita a posizionarsi ancora fra le migliori.
Passioni pucciniane al top
Il verismo ed il simbolismo insieme a formare uno stretto patto artistico e ad offrire ancora la stessa forza innovativa ed espressiva: restando in una dominante grigio cenere solcata prima dal giallo e poi dal rosso dei vestiti della protagonista, è la statua di Castel Sant’Angelo a sovrastare la scena, anzi le scene, inglobando concettualmente la Basilica di Sant’Andrea della Valle, poi Palazzo Farnese, infine le carceri e la terrazza di Castel Sant’Angelo.
La sua spada sguainata, enorme e perennemente minacciosa sul capo di chiunque, insieme con gli oscuri e ferrosi elementi cui de Ana ci ha abituato anche negli altri suoi lavori (dal Barbiere di Siviglia a Carmen), costruiscono un greve pensiero di morte che attende soltanto di essere alimentato dai destini dei protagonisti. Questo giova alle tinte forti di un dramma che resta uno dei migliori esempi della dicotomia fra il bene e il male espresso in arte, prelevato dall'omonimo lavoro di Victorien Sardou in cui i tratti sono altrettanto chiari, ed altrettanto l'incarnazione del malvagio Scarpia nel suo essere al servizio temporale della Chiesa, con il liberale Cavaradossi a potenziarne gli effetti narrativi.
Un thriller, un noir, una tale agitazione di passioni che oggi produrrebbe un evento cinematografico di cassetta: ed indubbiamente anche un bel rischio, corse Puccini nell'affondare le sue note ed i suoi quasi settanta leitmotiv in questa miscela composta da sacro e sacrilego, con forti nuances di erotismo e sadismo a condirne l'esplosività. Ed invece, come per La bohème, dopo l'incerto debutto fu trionfo a distanza di pochi mesi. Meno male.
Daniel Oren, la specialità della casa
Dopo la grande prova fra gli spartiti verdiani, sempre in Arena con La traviata, il direttore israeliano mette in vetrina una sua vera specialità, servendo le note di Puccini con magistrale sensibilità; l'orchestra esegue perfettamente i suoi dettati, anche quando a volte si discosta dai canoni classici con cui si affronta il grande lucchese. In particolare, la sua mano esalta la resa degli ottoni e soprattutto dei legni, che possono essergli grati per aver messo in mostra la grande tecnica e la perfezione ritmica. Aggiungiamo stavolta all'orchestra poi l'inglobamento a tutti gli effetti dei colpi di cannone, pienamente parte del ritmo con la loro presenza nella fase reazionaria.
Fra le voci, Floria Tosca si è esaltata nell'interpretazione di una Saioa Hernández al debutto in Arena. Grandi virtù tecniche, estensione molto ampia e potenza usata anche con parsimonia, ma c’era tutta e lo trasmetteva; eccezionali i colori e i vibrati, con una respirazione al passo con l'orchestra, con la quale ha creato una vera e non comune sinergia, ed a tutto questo aggiungiamo interpretazione attoriale convinta ed energica, che la penalizza nel primo atto in cui manca di una certa presenza maliziosa e accattivante della diva, per esaltarsi poi nella doppia e finanche ambigua psicologia del rapporto col perfido Scarpia. Il quale poi ha trovato in Ambrogio Maestri il disegno di un grande personaggio, dalla notevole potenza anche drammatica usata a volte con sfrontatezza e ritmica, anch'egli in piena sintonia con l'orchestra (tanto per aggiungere qualche elogio alla direzione).
E’ Fabio Sartori invece a tratteggiare un Cavaradossi classico, di quelli cui chiedere di bissare “E lucean le stelle”, come in effetti accade. Ed anch'egli, oltre al sicuro fraseggio, mette in scena soprattutto toni forti, piuttosto che debolezze di sentimenti. Biagio Pizzuti è un Sagrestano preciso e sonoro, una bella voce che aleggia nell'ignoranza dei fatti intorno a lui; il livello elevato delle voci è assicurato poi in particolare dall’Angelotti di Krzysztof Baczyk e dallo Sciarrone di Nicolò Ceriani.Ottimo il coro diretto da Vito Lombardi, che si distingue nel Te Deum anche per la grave presenza scenica; molto bene anche il coro di voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani.