Tosca al Teatro Carlo Felice, nell'allestimento di Davide Livermore: superato alla grande il test di una platea esigente che aspettava da 14 anni il ritorno a Genova del capolavoro pucciniano. I duemila posti disponibili sono andati esauriti sia la sera della prima, venerdì 24, che nel pomeriggio di sabato 25 per il secondo spettacolo. Alla fine, 20 minuti di applausi.
Livermore, impegnato altrove, non si è visto: ma la sostituta Alessandra Premoli è riuscita a riprendere alla perfezione le sue dinamiche, le sue suggestioni e anche le emozioni sottese alle scelte di regia, luci e scenografia. Una copia conforme all'edizione originale genovese, andata in scena nel 2009.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Tre piani e tre lati rotanti, una scena suggestiva
Bisogna specificare il luogo, perché Livermore ha fatto una Tosca anche per il Teatro Alla Scala nel 2019 (qui la recensione): un spettacolo che fece il pieno di ascolti nella diretta TV. L'allestimento genovese è meno sontuoso ma più coinvolgente: una piattaforma girevole, un triangolo scaleno irregolare su diversi piani che condensa in sé tutte le scene, trasformando in realtà solida il triangolo dell'unità di tempo, di luogo e di azione.
E proprio il concetto di triangolo è alla base di questa visione livermoriana di Tosca. C'è il triangolo soprano-tenore-baritono di Tosca, Cavaradossi e Scarpia. Ma la piattaforma-scena, girandosi, di volta in volta è Palazzo Farnese, la Chiesa di Sant'Andrea della Valle o Castel Sant'Angelo.
Scarpia muore nel punto più basso della scena, seguendo il suo sangue da anima nera che scorre verso gli inferi: ma la piattaforma girando mostra i lati alti che si prestano a disegnare una scena multilivello. La terrazza di Castel Sant'Angelo, gli interni del palazzo, la segreta delle torture, il piano strada dei traffici e della vita popolare, il cortile della fucilazione.
In alto ci sono la luce, lo sfarzo della ricchezza e del potere, lo studio da cui Scarpia decide la vita o la morte dei sudditi; in basso ci sono il buio, l'oppressione, l'ingiustizia, il dolore fisico e morale. Mirabili le proiezioni rotanti della cupola di Sant'Andrea della Valle, dei particolari degli affreschi, del cielo e della luna.
La musica dà forza alle coltellate
Detto della scenografia, vanno ricordate le scelte registiche di grande impatto: come le coltellate ripetute inferte da Tosca al perfido barone, che nel libretto passano sotto silenzio ma sono sottolineate dalla partitura. Come spiega lo stesso Livermore, al Carlo Felice Tosca non si getta da Castel Sant’Angelo, resta lì come pietrificata. Non è morta dentro di sé. Tosca si suicida ma non ne prende coscienza fino a quando il suo spirito vede il suo corpo.
Un fermo immagine che ricorda una cosa ben nota: Puccini e i suoi sodali Giacosa e Illica sono stati precursori di un tipo di narrazione di tipo cinematografico che poi è diventato tratto dominante dentro e fuori il teatro.
E' una Tosca che restituisce il grande impatto emotivo che ebbe quando fu presentata per la prima volta, il 14 gennaio 1900 a Roma: la lussuria di Scarpia; il senso di libidine, sopraffazione e violenza come tutt'uno con la gestione del potere; le passioni estreme; la purezza dell'eros libero (una cosa rivoluzionaria); la resistenza delle arti (Tosca, cantante e attrice; Cavaradossi, pittore) contro la prevaricazione della forza e del potere. Giacosa e Illica assecondano la musica di Puccini ed elaborano un'azione serrata, che ti tiene avvinto per tutti i tre atti.
Morandi doma l'orchestra come un puledro
Il direttore e maestro concertatore Pier Giorgio Morandi tratta la sua orchestra alla stregua di un cavallo di razza, spremendone e dirigendone ogni energia sull'azione scenica senza mai prevaricare con la musica la vocalità degli interpreti.
Subito emozione con la romanza/andante lento Recondita Armonia, con Sergio Escobar/Cavaradossi ispirato e commosso al punto giusto. Escobar non delude neppure nel celeberrimo E lucevan le stelle del terzo atto.
Monica Zanettin/Floria Tosca è sempre sui livelli giusti, senza incertezze negli acuti, ma si supera nel momento più atteso: la romanza/andante lento Vissi d'arte. Nella recitazione sa mixare temperamento passionale e gelosia con la sincera devozione della Fede: ma alla fine non mostra l'ombra di un pentimento quando decide di integrare l'insufficiente protezione divina con la sua volizione femminile (un altro tratto moderno del personaggio). Una lama trovata sulla scrivania di Scarpia fa il resto.
Stefano Meo/Scarpia interpreta bene la banalità del male e sa mostrare la giusta sorpresa quando viene ripagato con la stessa moneta che di solito usava con gli altri. Tutti bravi e senza incertezze gli altri: il sagrestano Matteo Peirone (mitico il suo “scherza coi fanti ma lascia stare i santi”); Manuel Pierattelli/Spoletta; Claudio Ottino/Sciarrone; DonghoKim/Angelotti.