Titolo: Tosca chiude la stagione lirica del Teatro Comunale di Treviso
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Proponendo Tosca di Puccini nell'allestimento coprodotto col Sociale di Rovigo - dove è andato in scena l'ottobre scorso - il Teatro Comunale di Treviso chiude la sua stagione lirica 2023-24.
E' uno spettacolo ben rodato, perché nato nel 2010 all'Auditorium di Rimini e riproposto tre anni fa nel circuito lirico toscano; e nel quale ad ogni componente ha pensato Ivan Stefanutti: regia, scene e costumi infatti escono tutti dalla sua fertile immaginazione.
Dovendo far i conti con ambiti più ristretti, nel tempo la grandiosa componente scenografica originale, che immerge con tocchi magistrali in una Roma nel contempo sfarzosa e lugubre, sensuale e paurosa, si è un po' ridimensionata perdendo solo poco della sua grandiosità, che s'accoppia ad una regia raffinata e stringente.
Un Te Deum imponente pur in contenuto spazio
Vedi, per esempio, con quanta abilità la sua regia risolva l'epilogo del primo atto tra le smisurate volte di Sant'Andrea, che sfocia in un Te Deum fastoso ed imponente pur nel contenuto spazio, con ricchezza di coristi e comparse - trovano spazio persino quattro guardie svizzere - e grande varietà di costumi.
Un capitolo importante, quest'ultimo, cui hanno collaborato Stefano Nicolao ed il suo atelier. E come sia accortamente condotta l'incalzante azione in Palazzo Farnese, con sottile gestualità d'ognuno. Massima importanza rivestono poi le suggestive videoproiezioni di Ezio Antonelli, che hanno il potere di dilatare gli ambienti e di potenziare le situazioni emotive.
Una direzione, ahinoi, routiniera
L'orchestra resta ancora, come a Rovigo, la Filarmonia Veneta. La guida stavolta Francesco Rosa, e non ne vien fuori un esito memorabile a causa d'una direzione sbrigativa, ed a tratti finanche ridondante; tutta a senso unico, poco teatrale, che non sempre presta la dovuta attenzione ai dettagli strumentali. A farla breve, una direzione improntata ad un doveroso impegno di routine, condotto a termine con sicura professionalità, ma scarsa fantasia.
Restano pure le parti di contorno, mutano gli interpreti principali. Giunta di corsa, quasi all'ultimo, il soprano Oksana Sekerina si cimenta a Treviso per l'ennesima volta in un ruolo – quello di Floria Tosca – debuttato nel 2019 a Monaco di Baviera. Ma crediamo affrontato per la prima volta nel Bel Paese. Aveva vinto nel 2017 al Concorso Operalia il “Birgit Nilsson Prize”, essendosi segnalata nel repertorio straussiano e wagneriano. Ma nel suo parco carnet – a parte Puccini – non si individuano sinora scelte di repertorio decisive che ne individuino un preciso orientamento artistico.
Una Floria molto femminile, poco passionale
Nonostante la scarsità di prove, la giovane russa se la cava bene. La linea interpretativa pare ricalcare quella storica della Tebaldi, proponendo una Tosca romantica, dalla tenera sentimentalità, appena appena voluttuosa. Cantata più col cuore che con i nervi, come s'usa dire: un'amante nella quale la gelosia risulta movente di tormenta macerazione nel timore d'essere messa da parte, piuttosto che un rovello assillante e maniacale.
Il timbro è morbido, di velluto; la gamma coloristica, ampia a sufficienza; il canto poggiato tutto su un registro caldo e soave, di insinuante rotondità. Però per andare a bersaglio le manca una cosa: maggiore incisività e quel passionale mordente che faccia emergere tutta l'inquieta sensualità del personaggio.
Un Cavaradossi poco tagliente
Mario Cavaradossi cade nelle mani del tenore turco Murat Karahan, ed è una parziale delusione. Perché la voce è senz'altro bella, estesa nella gamma, generosa e ben proiettata; e lui canta bene sul fiato, va detto, con facilità di squillo. Ma la recitazione è inerte, il fraseggio generico, la gamma di colori alquanto ristretta.
Sopprimere molte delle sfumature segnate da Puccini sulla partitura, è deplorevole; aprire spesso le vocali, fastidioso; ma tenere una nota acuta oltre il necessario, solo per far bella figura, è cattivo gusto. Nondimeno l'impressione è che, guidato da un direttore acuto ed esigente, o anche solo da un buon maestro ripassatore, il cantante di Ankara porgerebbe risultati ben superiori.
Un barone sessuomane e maligno
Il baritono coreano Youngjun Park è uno Scarpia di ragguardevole spessore scenico. Dal punto di vista strettamente vocale, è quanto si possa desiderare: emissione espansiva e possente, mai strabordante, tenuta sul filo della morbidezza; in più offre intensità d'accento, varietà di colori, fraseggio imperioso. Sul versante recitativo, possiede un'imperiosa personalità, e rende bene il contrasto proprio del personaggio: diviso fra perverso esercizio di potere, insinuante ipocrisia, malvagia libidine, ma che le buone maniere le conosce e volendo le sa usare, comportandosi da vero barone siciliano.
Svolgono un ottimo lavoro infine le figure dei comprimari, a cominciare dal vivido e sciolto Sagrestano di Alex Martini; Lorenzo Cescotti è Angelotti; Giovanni Maria Palmia, Spoletta; Francesco Toso, Sciarrone. Il Coro Lirico Veneto, posto sotto la guida di Giuliano Fracasso, passa l'esame; le Voci Bianche dell'Associazione Musicale Manzato di Treviso sono sotto quella di Livia Rado.