Allestimento simbolico, ma al contempo tradizionale, quello pensato da Hugo de Ana per la sua Tosca areniana. Uno spettacolo di forte impatto visivo che finisce comunque sempre per stupire piacevolmente chi ne fruisce.
Allestimento simbolico, ma al contempo tradizionale, quello pensato da Hugo de Ana per la sua Tosca areniana che il Festival estivo veronese ripropone al suo pubblico anche quest'anno: uno spettacolo di forte impatto visivo che, sebbene non sia una novità, finisce comunque sempre per stupire piacevolmente chi ne fruisce.
La scena è sostanzialmente fissa: su tutto domina la riproduzione dell'enorme testa bronzea dell'angelo visto da Gregorio Magno e realizzato da Pierre van Verschaffelt che ormai da più di due secoli e mezzo ben caratterizza con la sua imponenza il paesaggio romano, affiancata dalle due possenti braccia della statua, quella di destra, che si abbasserà solo nel terzo atto, levata nell'atto di brandire la spada, quella di sinistra, inizialmente adorna di un enorme rosario di fronte al quale prega Tosca, semplicemente posata sul palco. Sullo sfondo campeggia una struttura nera obliqua a pannelli mobili; sul palcoscenico si alternano via via tele dipinte, candelabri, croci, mobili di raffinata fattura e persino una riproduzione del Pulcin della Minerva da cui Tosca trae il pugnale per uccidere Scarpia.
La scena e i costumi
Di grande impatto teatrale la scena del Te Deum che sfrutta alla perfezione la grandiosità dello spazio areniano: sul palco una processione di vescovi dai volti scavati e quasi mummificati in vesti pontificali, cui fanno da contraltare altrettante figure di ecclesiastici mitrati che emergono dalle nicchie della parete obliqua di fondo, anch'essi dalle fattezze scheletrite. Forse troppo forti, ma di grande effetto, i reali colpi di cannone sparati dal palco e dalle gradinate retrostanti che, a tratti, hanno spaventato il pubblico.
Sul finale la protagonista, dopo il "grande salto", svetta imperiosa con una croce fra le mani sulla testa dell'angelo, quale monito dell'eterna sopravvivenza della sua memoria. Di epoca napoleonica i costumi, belli e ricchi, pensati dal regista stesso, piuttosto tradizionali al limite del convenzionale, invece, i movimenti dei protagonisti.
I Protagonisti
Hui He è una Tosca emotiva e passionale, la voce appare perfettamente proiettata, l'acuto si innalza sicuro, gli accenti sono vibranti e ricchi di pathos, la presenza scenica spigliata. In difficoltà il Cavaradossi di Marco Berti che ha evidenziato diversi cali di intonazione, oltre a un problema complessivo nella gestione dei fiati e nell'emissione. Generico, ma corretto, lo Scarpia di Marco Vratogna che dipinge un personaggio violento, ma non così untuoso e insinuante come forse si vorrebbe: qualche difetto di proiezione fa sì che a tratti l'orchestra lo sovrasti. Adeguati tutti i comprimari: il buon sagrestano di Federico Longhi, lo Spoletta di Paolo Antognetti, l'insidioso Sciarrone di Nicolò Ceriani, l'Angelotti di Deyan Vatchkov. Con loro, nel ruolo del Pastorello Federico Fiorio e, in quello di un carceriere, Romano Dal Zovo.
Al comando dell'Orchestra dell'Arena di Verona Riccardo Frizza, chiamato all'ultimo minuto a sostituire il maestro Julian Kovachev colto da grave malore durante le prove e, al momento, costretto in ospedale. La direzione è apparsa inevitabilmente un po' generica, ma in ogni caso attenta a ben calibrare i volumi e a cercare un rapporto quanto più possibile simbiotico col palcoscenico; degna di nota, comunque, la disponibilità del maestro a una sostituzione così rapida e improvvisata. Buona la prova del Coro che nel Te Deum ha dato davvero dimostrazione di grande coesione.