Alessandro Serra, regista, autore, artista visivo e fondatore della compagnia Teatropersona, ha curato regia, scene, luci, suoni e costumi dello spettacolo Il Canto di Edipo, che fa parte del suo nuovo progetto intitolato Tragùdia - Il Canto di Edipo.
Liberamente ispirata alle opere di Sofocle Edipo re e Edipo a Colono, e pensata appositamente per una messa in scena nel teatro palladiano, Tragùdia - Il canto di Edipo è stato recitato in grecanico dagli attori coinvolti (Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli, un intenso Jared McNeill, nei panni del protagonista Edipo, Chiara Michelini e Felice Montervino).
L'esule, una dimensione tragicamente umana
L’introduzione affidata a una sfinge cantante-angelo nero, Edipo è apparso sulle gradinate; più tardi, movimenti e coreografie hanno coinvolto diverse angolazioni della struttura ellittica del teatro, prospettive scamozziane della Via di Tebe e finestre illuminate tra le statue prospicenti comprese.
Musica, canto e Coro anche qui al centro (“il Coro” è il tema della rassegna), quest’ultimo inteso come unità inglobante l’intera narrazione e come materia umana creatrice: in diversi momenti, disgregandosi, dava vita a singoli personaggi e a singole azioni sceniche allestite come una danza.
I fatti sono noti, enfatizzati dalla drammaturgia in questa rilettura l’aspetto della cecità di Edipo, così diversa da quella visionaria di Tiresia (l’uomo a una dimensione messo di fronte al Fato), la potenza dell’hybris (la superbia), il ruolo dell’esule e meno accentata la forza psichica della passione: in alcuni momenti l’aspetto del tragico ha incontrato il grottesco, come quando due ubriachi latori di notizie hanno fatto la loro apparizione intenti a tracannare vino e a masturbarsi — restando alla corporeità, anche Edipo per un attimo toccherà da amante sua madre.
Un musical recitato in grecanico
Molto belli i costumi, evocanti una gamma di suggestioni varie: indumenti militareschi da passo d’oca e organza da Ofelia per Giocasta; tonache per accoliti di una setta maledetta e vestiti austeri color nero e oro a metà tra il talare e il tribale, coprenti corpi quasi nudi.
Un cenno a parte merita la componente musicale della rappresentazione: la sonorità del grecanico (nella traduzione di Salvino Nucera, sottotitolato) ha dei toni da acino e olio aspri e antichi; ad addolcirla e a rendere evidente la sacralità degli eventi, inserti cantati con echi di canto gregoriano, di madrigali a più voci, di musica sperimentale. Le partiture sono state firmate da Bruno De Franceschi.
Una tragedia in musica e un musical in diversi scorci, parlando il linguaggio del contemporaneo ribadito anche nel finale, quando è stata lasciata impressa nel buio, illuminata quasi alla Merz, la parola “amore”.