Troiane di Euripide, la “tragedia del lamento”. Ed infatti è sulle note di Lascia ch’io pianga, dal Rinaldo di Händel che si apre lo spettacolo, svelando l’interno di una casa, molto simile a quelle in cui tanti si sono ritrovati chiusi per due mesi e, quando ne sono usciti, non hanno potuto far altro che prendere atto della tragedia che aveva avuto luogo e cercare di rialzarsi.
Allo stesso tempo Ecuba, Cassandra, Andromaca ed Elena, chiuse in una stanza, sopravvissute alla distruzione di Troia sono in attesa di sapere cosa ne sarà del loro futuro, che, da quanto anticipa loro il messaggero Taltibio, sarà segnato da violenza e sopraffazione.
Spettacolo di grande sobrietà
Andrea Chiodi e la drammaturga Angela Demattè, che ha rielaborato il testo euripideo, costruiscono uno spettacolo di grande sobrietà, quasi minimalista, in cui il dolore non viene ostentato, ma viene interiorizzato e vissuto con profonda dignità.
Al centro di questo disegno c’è Ecuba, personaggio che Elisabetta Pozzi costruisce per sottrazione: intensa, dolente, misuratissima nell’esprimere le sue emozioni, eppure presenza magnetica in scena, cui basta un cenno, uno sguardo per calamitare l’attenzione e riprendere il controllo della situazione; lei l’unico punto fermo a cui tutti fanno riferimento. Una prova assolutamente maiuscola, cui fa da contraltare Graziano Piazza che, da raffinato interprete qual è, tratteggia un Taltibio ambiguo, freddamente burocratico nel comunicare alle donne la loro terribile sorte -la banalità del male avrebbe detto Hannah Arendt- ma che sembra tradire empatia quando racconta della morte del piccolo Astianatte.
Federica Fracassi è una Cassandra veemente, bruciante nella sua rabbia, mentre Valentina Bartolo interpreta un’Andromaca intensa ma mai sopra le righe. Interessante la rilettura del personaggio di Elena, impersonata da Alessia Spinelli, trasformata in una sorta di influencer che nel suo monologo, recitato di fronte ad una webcam, si rivolge agli haters che la odiano per la sua bellezza.
La paura motore dell’azione
Il video diviene anche protagonista dei cori che, grazie ad una folgorante intuizione, vengono recitati da figure femminili proiettate sullo sfondo, come se si trattasse di una delle tante videochat che hanno permesso di rinsaldare i rapporti umani durante quel lungo distanziamento sociale nato dalla paura del virus. Ed anche qui è la paura che spinge ad agire: Astianatte, un bambino, la cui unica colpa è quella di essere figlio di Ettore e Andromaca, viene ucciso dagli Achei per paura che un giorno possa voler riedificare Troia e vendicarsi della sconfitta subita.
E' proprio sul corpo di Astianatte che si chiude lo spettacolo, in un bellissimo e lacerante finale in cui Ecuba, abbattendo la quarta parete, instaura un legame diretto con il pubblico, invitandolo a partecipare del loro dolore -un dolore superato il quale, però, si dovrà “rialzare la testa”- per poi allontanarsi sotto una purificatrice pioggia di cenere.
Uno spettacolo intenso, toccante, nel quale è difficile non identificarsi, salutato da applausi intensi.