Per il secondo anno consecutivo Anna Netrebko è tornata all’Arena di Verona quale interprete del ruolo di Turandot nell’omonima opera di Giacomo Puccini. Ma se la scorsa stagione si trattava di una versione semiscenica, a causa delle limitazioni imposte dall’emergenza Covid, quest'anno è stato recuperato lo sfarzoso allestimento firmato una dozzina di anni fa da Franco Zeffirelli per regia e scene e da Emi Wada per i costumi.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
La Turandot dei nostri giorni
Il soprano russo, ormai alla sua quarta stagione areniana -e di questo dobbiamo ringraziare lo straordinario operato del sovrintendente Cecilia Gasdia per riportare le grandi voci nell'anfiteatro veronese- ha bissato la straordinaria performance dell’anno scorso.
Anna Netrebko è la Turandot dei nostri giorni: alla perfetta linea di canto ed agli acuti smaglianti si affiancano una personalità magnetica ed una straordinaria capacità di scavo del personaggio. Solitamente infatti la Principessa di gelo viene interpretata come una figura monolitica di cui si ammirano solo gli acuti.
In questo caso invece il canto diventa funzionale al testo, che si carica di una notevole espressività, diventando di volta in volta imperioso, insinuante, sprezzante, fino a sciogliersi nella passione finale. Un’interpretazione da vera fuoriclasse.
Nel ruolo di Calaf il tenore Yusif Eyvazov si muove in un repertorio a lui congeniale, che gli permette di fare sfoggio delle sue doti di raffinato fraseggiatore che conquistano il pubblico, talmente prodigo di applausi al termine di “Nessun dorma” da riuscire ad ottenere il bis.
Maria Teresa Leva è una Liù dal bel timbro lirico, cui si affianca il Timur del veterano Ferruccio Furlanetto. L’ottimo cast vedeva schierati anche Gëzim Myshketa, Matteo Mezzaro e Riccardo Rados, impeccabili nei ruoli di Ping Pong e Pang e l’eccellente Carlo Bosi nel doppio ruolo di Altoum e del Principe di Persia.
La direzione di Marco Armiliato, dopo un primo atto abbastanza farraginoso, prendeva quota nei successivi due, grazia alla buona prova dell’Orchestra della Fondazione Arena e del Coro diretto da Ulisse Trabacchin.
Un allestimento favolistico
Turandot nasce dalla penna di Carlo Gozzi come fiaba, come fiaba la ripropone Puccini e la connotazione favolistica è quella prevalente nell'impostazione di Zeffirelli. Il palcoscenico viene diviso a metà da una paratia scorrevole: davanti Il popolo di Pechino, caratterizzato da colori grigi, cupi ed in perenne movimento; dietro la Città Proibita, rilucente di colori, ma immobile, quasi cristallizzata.
L'idea registica sostanzialmente finisce lì, lasciando spazio ad una scenografia sicuramente di grande impatto impreziosita da costumi che, in quanto a sfarzo, non hanno nulla da invidiare. Una visione indubbiamente tradizionale ed abbastanza statica dell'ultimo capolavoro pucciniano, ma che risulta comunque godibile.
Calorosa la risposta del pubblico che gremiva l’anfiteatro, in particolare nei confronti di Anna Netrebko e Yusif Eyvazov.