Un allestimento di Turandot arriva dall'altra parte del pianeta, ed è quello che da Daegu – per grandezza la quarta città della Corea del Sud, dove è andato in scena l'anno scorso all'Opera House - è stato spedito via mare, percorrendo in 80 giorni una lunga rotta via Suez sino al porto di Genova.
E di qui, viaggiando su camion, è arrivato a Ferrara, dove il capolavoro di Puccini è andato alla fine in scena. Tutto nell'ambito di una coproduzione italo-coreana posta qui sotto la direzione musicale di Marcello Mottadelli, adottando il solito finale di Franco Alfano. Ed aprendo così la Stagione lirica 2023-24 del Teatro Comunale Abbado.
Turandot una, due, tante volte
Per il maestro lecchese, molto attivo all'estero, Turandot è un'opera senza segreti. L'ha diretta molte volte, pure al Festival Puccini di Torre del Lago quattro anni fa. Sa quindi come concertarla e dirigerla con precisione e profondità, imprimendovi molta energia ed un buon andamento narrativo. Certo, la ricchezza di colori e di annotazioni strumentali sarebbe stata maggiore avendo a disposizione una formazione di superiore autorità rispetto all'Orchestra Città di Ferrara. E mentre le piccole voci bianche del Comunale di Bologna procedevano irreprensibili, il Coro Lirico Sinfonico di Parma e dell'Emilia Romagna ondeggiava ahinoi parecchio.
Un cast tutto sudcoreano
Dalla Corea arriva non solo l'intero allestimento – scene, costumi e regia - ma anche l'intero cast. Fatto di nomi per noi nuovi, salvo quelli di due artisti ormai di casa nel Bel Paese, cioè il baritono Leo An e il soprano Lilla Lee. Per quest'ultima la gelida e crudele Turandot costituisce - insieme a Cio-Cio- San e Tosca - un pilastro fondamentale del suo repertorio pucciniano sin dal 2009, allorché la debuttò al Filarmonico di Verona.
Tuttavia, a fronte di una vocalità apocalittica e altisonante, piena nei gravi – inizialmente mezzosoprano, Lilla Lee è poi divenuta soprano drammatico – non sempre percepiamo rese a dovere tutte le sfumature necessarie. Nondimeno il personaggio della gelida principessa trova piena realizzazione, ben reso nel suo carattere crudele e ferino.
Un Calaf generoso e squillante
Una bella sorpresa è quella del tenore Yoon Byungkil, che ha portato in dono un Calaf dall'emissione accortamente gestita, ben timbrato, intonatissimo, luminoso nel colore. Lo squillo gli riesce sempre facile e generoso, a dispetto di una tessitura notoriamente impervia e ruvida. La sua forza è un tipo di voce eroicizzante non certo comune; per portare un paragone, ricorda da vicino quello di un Nicola Martinucci o di un Walter Fraccaro, due grandi Calaf. Da tenere magari in considerazione per il nostro non abbondante mercato tenorile.
Teniamoceli, alcuni di questi cantanti
Musicalissima nel portamento vocale e delicatamente struggente nel carattere è la Liù di Kim Eunhye, anche se un po' indefinita scenicamente. Vocalmente poderoso e ben modulato è il Timur del buon basso Moon Seokhoon; ottimo l'Altoum di Kim Juntae; adeguato il Mandarino di Kim Juhyeon. Il trio formato da Ping, Pong e Pang viene consegnato all'incisivo fraseggiare di Leo An, ed alle voci dei bravi Park Sinhae e Choi Yosub. Tre maschere ben affiatate, per un trio scattante e fuori del comune.
Una regia banale e pesante
Se il côté musicale soddisfa assai, delude un po' la regia di Plamen Kartaloff, dal procedere sin troppo ortodosso e molto didascalico. Una regia banaluccia, inerte, che muove un po' goffamente le masse – il coro dei pechinesi spesso occultato sotto cappellini conici di paglia; i gruppetti di armigeri, dignitari e servitù dentro e fuori come ad un semaforo - portando avanti la storia senza guizzi inventivi.
I costumi mescolano folklore orientale e tessuti moderni, e ci appaiono ben disegnati; la scenografia è imperniata su una struttura a spirale girevole, con gradinate alla base e una lunga pedana proiettata al cielo. Maestosa e funzionale, permettendo rapidi cambi a vista; ma alla fin fine sempre la stessa, per l'occhio cambia poco. Entrambe le componenti – scene e costumi - in locandina non portano firma. La scelta delle luci non sempre ci pare indovinata. Nondimeno, in entrambe le recite il teatro intitolato al grande Abbado registrava il sold-out.