Lirica
TURANDOT

La “Turandot” al 69° Festival Puccini fila liscia. E il pubblico applaude generoso.

Turandot
Turandot © Lorenzo Montanelli

Mentre il polverone sollevato dalla clamorosa presa di posizione di Alberto Veronesi - che ha diretto La bohéme con gli occhi bendati - non pare diradarsi, il secondo titolo in cartellone al 69° Festival Puccini per fortuna non ha riservato sgradite sorprese. Nel Gran Teatro affollato all'inverosimile, infatti, la Turandot diretta da Robert Treviño (il nome richiede la eñe) è andata in scena senza intoppi, tra la soddisfazione di tutti. Pubblico, artisti e vertici della Fondazione viareggina.

GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA

Un'opera in cui coesistono mondi diversi

Vero è che nessuna sorpresa poteva venire dalla drammaturgia pensata da Daniele Abbado, in uno spettacolo già visto nelle ultime due edizioni del festival toscano. Un allestimento dai tratti volutamente irreali, onirici e fiabeschi, spinto sino al limite dell'astrazione, con una regia molto densa, significante, e indirizzata da una parte su meticolosi dettagli recitativi, dall'altra rivolta ad un equilibrato ed efficace movimento delle generose masse, senza scivoloni nel kolossal. 

Non sarebbe nello stile del regista milanese. «Un universo di mondi diversi», come lo ha definito lui stesso, un algido contesto sospeso nel tempo in cui le scabre scenografie mobili di Angelo Linzalata svolgono una funzione basilare, ed i variegati costumi di Giovanna Buzzi giocano a più livelli visivi. Così come un ruolo non secondario rivestono le coreografie di Simona Bucci.

Una direzione che conquista

Dopo aver ascoltato questa Turandot, cresce la nostra considerazione per Treviño, e di molto: sinora lo avevamo apprezzato solo in campo sinfonico. A parte la perfetta intesa con l'Orchestra del Festival, che risponde sollecita alle sue indicazioni – e manifesta chiara ammirazione nei suoi confronti – il direttore ispano-texano mostra d'aver idee ben chiare. Porta avanti una concertazione di notevole qualità, ricca di slancio e mordente. I risultati timbrici sono rilucenti, vigorosa la scansione ritmica, per uno scattante dinamismo; ed ammirevole è la ricchezza di colori. 

Benché appassionato interprete del repertorio contemporaneo, la scelta del finale di Luciano Berio non è sua, avendola ereditata dalle precedenti edizioni. Ma sotto la sua bacchetta il meticoloso (e un po' algido) lavoro del compositore ligure risplende di luce nuova, inaspettata; insomma, ascende ad una superiore valenza. Il pubblico ne viene conquistato, e gli tributa affettuose ovazioni.

Sandra Janusaite

Una principessa che non convince

Non ci convince troppo, al contrario, la Turandot di Sandra Janušaitė. Anche se il fraseggio è impetuoso ed il carattere scolpito, il soprano lituano ci sembra interprete un po' plateale, un po' forzata, snervata e con poca polpa nel registro inferiore. Non ci prende, insomma: ma trovare oggi una Principessa di giusta tempra, oggi, è in verità un'ardua impresa. 

Amadi Lagha, senza volerlo, l'abbiamo sentito mesi fa come Calaf un po' più a nord, al Verdi di Trieste. Confermiamo le sue qualità: alle prese con una tessitura aspra e ruvida, il tenore franco-tunisino mette in campo voce ampia e generosa, baldanzosa sicurezza d'emissione, acuti facili e svettanti, piacevole timbro di bronzeo metallo. 

Ci conquista immediatamente la musicalissima, tenera Liù di Emanuela Sgarlata, interprete prodiga di sfumature e tinte, e di squisita sensibilità. In scena, una fanciulla dai lineamenti angelicati, trepidante di dolorosa passione, di sogni senza speranza. Il Timur di Antonio di Matteo è un tantino opaco, e di scarso rilievo drammatico; attendibile l'Imperatore di Marco Montagna.

Amadi Lagha e Emanuela Sgarlata

Ping, Pang e Pong, maschere irriverenti

Quanto al trio di cinici ministri, difficilmente potrebbe essere migliore: maschere irresistibili ed agilissime sono Simone Del Savio (Ping), Andrea Giovannini (Pang) e Marco Miglietta (Pong),  tratteggiando con bravura e convinzione, pienezza vocale e cospicuo impegno recitativo – Abbado impone loro una vorticosa presenza scenica - ognuno il proprio ruolo. Francesco Auriemma è il Mandarino. Il Coro del Festival Puccini, diretto da Roberto Ardigò, era integrato dalle Voci Bianche curato da Chiara Mariani. Grande successo di pubblico, prodigo di applausi.
 

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Visto il 15-07-2023
al Gran Teatro Puccini di Viareggio (LU)