Un Ballo in Maschera di Verdi filologicamente corretto: nell'interpretazione, nelle scene e nei costumi. L'allestimento della fondazione Teatri di Piacenza, del Teatro Alighieri di Ravenna e del Teatro Comunale di Ferrara, andato in scena al Carlo Felice di Genova, restituisce un Verdi in grande spolvero.
Perfetta la regia di Leo Nucci, ripresa da Salvo Piro: e la mano di un ex grande interprete come Nucci diventato regista, si riconosce in molte scelte. Come l'adattabilità. Questo Ballo in Maschera è nato per palcoscenici più piccoli, ma si dispiega senza problemi su uno spazio ben più ampio come quello del Carlo Felice: anzi, ne guadagna la narrazione.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Scene e costumi da manuale
Le scene di Carlo Centolavigna oltre che storicamente accurate nel dettagli, sono evocative ed emotivamente coinvolgenti: come il quadro che si apre nella scena prima del secondo atto con Amelia che canta “Ecco l'orrido campo ove s'accoppia al delitto la morte!” .
I costumi di Artemio Cabassi oltre che filologicamente corretti sono maniacalmente attenti al particolare. Nella scena quarta del terzo atto i congiurati cantano “Azzurra la veste, e da vermiglio nastro le ciarpe al manco lato attorte”: e saranno vestiti proprio così. Potente e trascinante il coro diretto da Claudio Marino Moretti.
Donato Renzetti, maestro concertatore e direttore, fa sentire tutto il peso della sua esperienza e della sua classe cristallina, ricreando alla perfezione il tappeto musicale del Ballo in Maschera, con il suo andamento coinvolgente, attrattivo e trascinante.
A sipario chiuso, nei cambi di scena, convinti applausi per i protagonisti: che - non troppo controvoglia - sono usciti più volte a raccoglierseli nel proscenio. Ma vediamoli, questi protagonisti. Un palmo su tutti il genovese Francesco Meli, tenore di casa nei panni di Riccardo, conte di Warwick trapiantato a Boston come governatore: a quanto pare il Ballo in Maschera è tra le sue opere preferite.
Francesco Meli gioca in casa, e si vede
Meli fa la differenza soprattutto nel primo atto: ma si destreggia bene tra slanci passionali, dubbi, incertezze, crisi e ragione di Stato ricostruendo alla perfezione la psicologia del suo personaggio. Segue tutta la parabola del conte fino alla morte, dominata da una magnanimità e un senso del dovere che non aveva prima. E' bravo sempre, ma si supera nell'aria “Ma se m'è forza perderti”, nell'atto terzo.
Carmen Giannattasio dimostra un'ottima estensione di voce, indispensabile per destreggiarsi adeguatamente nel ruolo di Amelia: una delle parti sopranili più impegnative tra quelle del repertorio verdiano. Lo dimostra nella romanza di Amelia “Morrò, ma prima in grazia” del terzo atto: bene nell'assolo, domina con sicurezza la tecnica.
Poi gli altri, come il Renato del baritono Roberto De Candia. Da applausi (regolarmente giunti) l'aria “Eri tu, che macchiavi quell'anima” (atto terzo, scena prima). Idem per “Alla vita che ti arride”, nella scena terza del primo atto. Il paggio Oscar è affidato a Marina Sarra, che padroneggia efficacemente gli acuti (“Volta la terrea fronte alle stelle”, canzone di Oscar, atto primo).
Renzetti, maestro sempre apprezzato
Maria Ermolaeva, secondo cast, non ha fatto rimpiangere la titolare del ruolo nella parte di Ulrica, la veggente di colore (“Re dell'abisso, affrettati”, romanza di Ulrica). I congiurati Samuel (John Paul Huckle) e Tom (Romano Dal Bono) si mettono in evidenza subito all'inizio con “E sta l'odio, che prepara il fio”. Applausi anche per il duetto di Riccardo e Amelia “Teco io sto”, nel secondo atto.
Successo personale anche per Donato Renzetti, che quando torna a Genova ha sempre il suo seguito personale prontissimo a dimostrargli affetto e stima.