Come si fa a sapere quando una compagnia teatrale ha fatto un buon lavoro? Se parliamo di sala piena e risate a crepapelle, questo Uomo e Galantuomo di Geppy Gleijeses ha fatto pieno centro con applausi a scena aperta, come nel varietà. Se nel conto dobbiamo invece inserire anche una certa cura filologica, un’attenzione per il testo originario e le volontà dell’autore, il risultato finale cambia parecchio.
Questo Uomo e Galantuomo è 'monodimensionale': umorismo allo stato puro senza tutte le sfaccettature e le complessità psicologiche del teatro eduardiano. Niente implicazioni etiche e sociali, niente intelligenza che illumina gli angoli nascosti. Il meccanismo narrativo e scenico è perfetto, il tempo comico pure, la recitazione ottima: ma non è Eduardo.
E' Eduardo o Scarpetta?
Mentre ridevamo, in queste due ore e mezza di spettacolo che volano via, la parte più critica di noi immaginava Eduardo De Filippo che si rivoltava nella tomba pensando: “Questa l’ho scritta io, ma la stanno mettendo in scena come se l’avesse fatta mio fratello Peppino. O peggio ancora il mio fratellastro Scarpetta”. Una brillantissima farsa, in pratica.
Eppure Geppy Gleijeses, che ha avuto la fortuna di conoscere il Maestro, sarebbe più che in grado di recitare il vero Eduardo: dosando con il bilancino l’aspetto comico allusivo, la risata dal retrogusto amaro, la profondità psicologica dei personaggi, il pessimismo di fondo del teatro partenopeo. Dove i ricchi restano ricchi e i poveri non hanno neppure la possibilità di vederlo, il famoso ascensore sociale.
Sappiamo benissimo che Geppy Gleijeses se vuole è un ottimo attore drammatico: invece qui l’ha buttata in vacca, con la complicità del regista Armando Pugliese, il pubblico si è divertito un sacco e va bene così. Diciamo che avrebbe potuto far riflettere e provare emozioni, ha scelto di dare al pubblico due ore e mezza di svago.
Un classico con l'influenza di Pirandello
La vicenda è nota, dato che si tratta di un classico. Un ricco rampollo della classe dirigente napoletana invita una scalcagnatissima compagnia di attori a recitare una serie di spettacoli nello stabilimento balneare che frequenta, a Bagnoli.
Gli attori sono inadeguati, le complicazioni sentimentali in agguato, gli imprevisti pure: finisce con due rappresentanti dell’upper class che devono fingersi pazzi per salvare le apparenze, e un rappresentante del popolo affamato che deve fare lo stesso, ma per non pagare il conto dell’albergo. E se sul tema delle apparenze e delle convenzioni sociali volete tirare in ballo Pirandello, fate pure: il debito del giovanissimo Eduardo al vecchio maestro qui è abbastanza evidente.
L'inizio filologico
La magia di Eduardo in questo allestimento di Uomo e Galantuomo è molto evanescente. C’è però il teatro nel teatro: la compagnia di guitti dopo avere fatto una brutta figura appena arrivata a Bagnoli decide di riscattarsi cimentandosi nientemeno che con un dramma di Libero Bovio. Prima però bisogna provarlo, e le conseguenze di questa prova diventano leggendarie nella storia del teatro: lo stesso Eduardo aveva dilatato a dismisura questa parte dello spettacolo, che si prende una mezz’ora abbondante. Gleijeses e i suoi lo cavalcano con maestria.
L’inizio filologico della commedia fa pensare bene. Un litigio tra vajasse in un napoletano che ad altre latitudini sembra stretto e che l’ira e la concitazione rendono vieppiù incomprensibile; l’iconografia salvaguardata, dal bianco dei panni stesi alla mastella in alluminio che serve anche per lavare i neonati; gli stracci dei popolani che contrastano con abiti del signorino azzimato. Poi la commedia prende presto una direzione ben definita. Tutti bravi gli altri, a cominciare da Ernesto Mahieux, che non deve dimostrare niente.
Menzione speciale per Gleijeses junior
E a proposito del signorino azzimato: ad interpretarlo è Lorenzo, figlio di Geppy. Il padre alla fine della commedia lo ha baciato, giustamente orgoglioso, e ha fatto bene: Lorenzo è stato perfetto nella parte, sempre facendo la tara alla direzione che regista e capocomico hanno voluto dare all’allestimento. Se riuscirà ad essere un po’ meno autoreferenziale rispetto al genitore, presto l’allievo supererà il maestro. Che poi è quello che qualsiasi padre d’arte si aspetta e desidera dal figlio d’arte.