Sepe ha tessuto una coperta morbida per accogliere le visioni del giovane Werther, interpretato dall’ipnotico Giacomo Stallone, bravissimo nell’affrontare l’universalità del dolore passando attraverso idiomi, lavoro sul corpo, recitazione e canto.
E’ il sogno americano o semplicemente un sogno? Alla fine non è importante identificarlo quanto perdersi in uno spettacolo inusuale, dove i linguaggi del musical si trasfigurano e si esaltano. Pennellato di romanticismo gotico, il ‘Werther a Broadway’ di Giancarlo Sepe sortisce una fascinazione dalla quale difficilmente ci si distacca, anche a distanza di qualche giorno.
La storia, ben lontana dalla scrittura goethiana anche se mantiene intatta la drammaticità del romanzo, fa perno sul dolore del giovane Werther: la donna che amava preferisce un altro uomo. Questo dolore esplode immediato in faccia al pubblico. Con una illuminazione cinematografica da primo piano, il viso di Werther si contrae in smorfie. Uno sparo, il buio.
Poi il dolore inizia a contaminare la platea, con canzoni cantate in tedesco e scene che mostrano la morte dell’amore, morte che accompagna il giovane Werther per tutto lo spettacolo attraverso una lapide installata nella scena e che vede inciso il suo nome. Quale modo migliore per uscire dal romanticismo spietato se non tuffarsi nella dissolutezza e nella libertà del teatro? Ecco che allora la scena cambia vita, cambia lingue che vanno a intrecciarsi con il tedesco. L’italiano, l’inglese e il francese aprono le porte a una luminosa Broadway degli anni 50.
La spettacolarità ed il senso salvifico del Teatro
Lustrini, paillettes, coreografie che richiamano molto lo stile di Bob Fosse, tutto risulta essere un elisir rinvigorente per il giovane Werther. Partecipa compiaciuto a questa esplosione di vita. La dimensione del sogno sembra relegarsi agli unici momenti nei quali gli attori cantano sopra le canzoni originali sovrastandole, creando una eco sonora che rispecchia lo stato onirico di Werther. Ma il teatro, in quanto specchio anche dei nostri tormenti, riporta Werther al suo irrisolto e lo fa attraverso l’opera Non si scherza con l’amore che la compagnia sta mettendo in scena.
A Werther non rimane che affrontare i propri demoni e rivivere la sua delusione. In coscienza o in sogno la soluzione che rimane è una sola.
Sepe ha tessuto una coperta morbida per accogliere le visioni del giovane Werther, interpretato dall’ipnotico Giacomo Stallone, bravissimo nell’affrontare l’universalità del dolore passando attraverso idiomi, lavoro sul corpo, recitazione e canto. Non sono da meno i suoi colleghi di scena che è giusto citare: Federica Stefanelli, Sonia Bertin, Camilla Martini e Pierfrancesco Nacca.
Al lavoro artistico corale si aggiunge quello tecnico che ha contribuito a rendere le scene uno spazio in bilico tra il reale e il sogno. Merito quindi anche a Alessandro Ciccone (scene), Lucia Mariani (costumi), Davide Mastrogiovanni (musiche) e Guido Pizzuti (luci). A Sepe il merito di aver costruito uno spettacolo estremamente godibile, differente e carico di significati.