Al Werther di Massenet al Comunale Noveau di Bologna c'era grande attesa per lui, Dmitry Korchak, il Werther di riferimento oggi insieme a quello di Jonas Kaufmann. Solo che il tenore bavarese tale ruolo lo ricopre da vari anni, mentre quello russo – che avevamo già ammirato nell'aprile 2023 a Verona, a poca distanza dal felice debutto alla Staatsoper di Vienna – l'affronta da assai meno tempo.
Tenore squisitamente lirico con un retroterra belcantistico, Korchak possiede una voce prodiga di suono, tutta ben proiettata in avanti, con un timbro caldo e luminoso; ed una condotta musicale di grande intelligenza, dove la passionalità del personaggio viene saggiamente dosata.
Un canto dalle sapienti sfumature di colore, che mai spezza il fraseggio, mai forza nei fortissimo. L'epilogo, lui morente, un esempio di maestria tecnica, di bella musicalità, di adesione psicologica. Per inciso, la sala aveva chiesto a gran voce un bis purtroppo non concesso, quello di un grandioso «Pourquoi me réveiller».
Charlotte e Sophie, due sorelle infelici
A far da contraltare troviamo la finissima e commovente Charlotte di Annalisa Stroppa. Primo, quale interprete è assolutamente credibile e toccante, un vero saggio di introspezione sentimentale. Secondo, quale cantante può vantare un'emissione soffice e vellutata, una voce calda, duttile ed omogenea nell'intera gamma. Quando alla fine dell'angosciante scena delle lettere – un chef d'oeuvre di drammaticità – il mezzosoprano bresciano intona con dolente mestizia «Va! Laisse couler mes larmes!», inevitabile scenda anche a noi una lacrima. Anzi, qualcuna di più.
Assolutamente deliziosa troviamo la tenera e fresca Sophie di Claudia Ceraulo, scevra da svenevolezze; Tommaso Barea delinea un granitico, magnifico Albert; Alessio Verna è impeccabile nell'abbozzare il bonario Bailli; Xin Zhang e Dario Giorgelè tratteggiano con arguzia i due compari, Schmidt e Johann. Yuri Guerra è Brühlmann, Giulia Alletto Kätchen. Da parte sua, il piccolo Coro delle Voci Bianche appare irreprensibile.
Il capolavoro di Massenet, senza dubbio
In Werther Massenet – ancor più che in Manon, Hérodiade, Thaïs - impiega un linguaggio sonoro estremamente variegato ed innovativo, oltre che continuamente sfumato, assecondando inflessioni e gradazioni d'ogni frase musicata.
L'orchestra è irrequieta, pulsante, vive di continui guizzi melodici e ritmici, in un inesausto rincorrersi e riemergere di temi ricorrenti, che cadono sempre al momento giusto. Riccardo Frizza è un concertatore di grandissima capacità e ben comprende tutto ciò, proponendo una direzione esemplare, sinuosa e sciolta, ineccepibile nel bilanciamento di sonorità ed agogiche. Una direzione, in più, fluidamente narrativa e molto ispirata, con un'orchestra che lo assevera con precisione e flessibilità.
La ripresa d'uno spettacolo dai tanti punti di forza
Lo spettacolo che Rosetta Cucchi (regista), Tiziano Santi (scenografo) e Claudia Pernigotti (costumista) presentarono nel 2016 al Teatro Comunale, lo ritroviamo sul palcoscenico cinemascope del Comunale Noveau. Quindi con inevitabili tagli in altezza e qualche vuoto ai lati. Ma il suo significato intrinseco, l'intensità drammatica e la poeticità, la capacità di coinvolgimento, la raffinatezza delle scene e l'attrattiva dei costumi restano.
Tutto ruotante su quello spunto centrale che funziona a dovere: Werther quasi sempre in scena sin dall'inizio, seduto su una poltrona rossa con in mano l'arma fatale ferale, a rivivere in flashback la sua infelice storia d'amore. E lo spettacolo rimane di non comune bellezza.