Il male oscuro di Giuseppe Berto è considerato un caposaldo della letteratura italiana, un successo editoriale che nel giro di una settimana si aggiudicò i premi letterari Viareggio e Campiello. Eppure il romanzo fu rifiutato da più di un editore prima che Rizzoli lo pubblicasse nel 1964. L’onda lunga del successo non si è mai spenta, tanto che gli editori continuano a ristamparlo in nuove edizioni, mentre nel 1990 Mario Monicelli ne ha tratto un film, pluripremiato, affidando il ruolo del protagonista a Giancarlo Giannini.
I teatri stabili di Palermo, di Catania e delle Marche ne propongono oggi un adattamento scenico curato e diretto dal regista Giuseppe Dipasquale e interpretato da Antonio Vassallo.
Il male oscuro, che narra la vicenda autobiografica di uno scrittore in crisi, segnato dai sensi di colpa per la morte del padre, colpisce per la sua attualità, per l’analisi accurata di un malessere profondo, nel quale oggi si riconoscono molti di noi. Bepi, l’io narrante del romanzo, è uno scrittore che ha la sensazione di non riuscire a governare la propria vita. Sospinto dagli eventi, dall’incapacità di superare il trauma della morte del padre, di relazionarsi autenticamente con i familiari, la moglie, l’amante, sprofonda nel baratro della depressione.
Decide quindi di affidarsi alla psicanalisi per comprendere le ragioni profonde del suo malessere. L’inettitudine del protagonista, molto simile a quella dell’antieroe sveviano de La coscienza di Zeno, cui Berto ha dichiarato di essersi ispirato, produce paradossalmente situazioni tragicomiche, attimi di straniamento che tuttavia aiutano a comprendere la complessità di una condizione esistenziale tipicamente contemporanea, di un io diviso tra senso del dovere e desideri frustrati.