Melodramma in tre atti di Luigi Illica.
Livorno prosegue nel Progetto Mascagni , cifra caratterizzante della sua identità produttiva e di ricerca, proponendo un nuovo allestimento di Iris, ad otto anni di distanza dalla precedente produzione firmata da Lindsay Kemp. Opera di ambientazione esotica che segna l'adesione del compositore labronico al filone decadentista e simbolista, Iris nasce da una proposta del librettista Illica che Mascagni, incline a una volontà di rinnovamento rispetto al realismo imperante e pronto a cogliere il gusto per l'esotico che sta dilagando nella cultura europea, accoglie subito con favore. La vicenda narrata nel libretto è esile, priva di un forte mordente teatrale, i suoi personaggi sono appena delineati, ma proprio in questo rifiuto di una logica di teatro realista consiste l'autentica novità : il libretto, infarcito di didascalie diffuse, più ampie degli stessi versi, propone per la prima volta nel teatro italiano un'opera nella quale i personaggi permangono in una sorta di limbo, inclinando a risolversi, secondo l'estetica simbolista, in emblemi, mentre il ruolo di protagonisti viene assunto dal solenne Fujiyama, dalla cornice, dagli elementi decorativi e dagli espliciti simboli disseminati in tutto il testo. I veri protagonisti sono da ricercarsi al di là delle figure umane: e si dovrà additare fra le massime riuscite il grande preludio dell'opera, con il coro che incarna il Sole, pagina autenticamente mascagnana per la bellezza e l'empito dell'invenzione melodica e per la ricchezza dei particolari strumentali; l'inedita pittura delle donne alla fonte, su un incredibile ritmo di bolero (atto primo); le tre danze delle geishe del teatrino, maliose e perfide, che avvolgono e rapiscono Iris. Ma soprattutto si dovrà guardare all'ultimo atto, nel quale nulla si muove di teatrale, se non le simboliche apparizioni degli Egoismi. Appunto nell'affrontare una scena del tutto priva di tensioni, un delirio di morte, Mascagni tocca il vertice dell'originalità, non solo dando voce toccante a quei fantasmi umani, ma trovando colori inediti per il livido paesaggio notturno nel quale giace il corpo di Iris morente. E quando, invocato da Iris che si chiede «Perché piango e muoio e m'abbandona/ ogni persona e cosa?», riemerge il Sole a illuminare con il suo canto la scena, che diviene miracolosamente un campo fiorito di iris, ci separiamo dall'opera con l'espressione dello smarrimento di un piccolo essere di fronte all'ingiustizia degli uomini e al mistero della morte, ma anche con la sensazione di aver assistito alla rappresentazione di quattro decenni di melodramma: dal Mefistofele del 1868 al verismo di Cavalleria rusticana, al simbolismo, all'espressionismo musicale che deve ancora nascere.
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