Oh, che bella guerra! Ritornello e titolo irriverente, provocatorio, cinico. Può mai essere bella una guerra? In particolare la prima del secolo scorso, la stessa che Benedetto XV definì «inutile strage»? Di certo fu gradita da quanti ebbero possibilità di arricchirsi fabbricando strumenti di morte, di lucrare sulle commesse militari, di ingrassare sul sangue della gioventù. Per milioni e milioni di persone, invece, fu solo dolore, sangue, lutto. Un imponente ufficio propaganda ebbe il compito di rintuzzare «gli attacchi dei disfattisti», convincere padri, madri, spose che la giornata in trincea dei loro cari «scorreva serena e sicura». Allo scopo utilizzò le parole dei poeti, gli articoli di giornale, le voci dei conferenzieri. E persino dei teatranti. Ecco quindi un gruppo di attori, che immaginavano solo di dover rallegrare i soldati delle retrovie con canzoni, balletti scherzi e barzellette e si trovano invece invischiati in un compito ben più arduo e meschino.
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