Cernusco sul Naviglio, piccolo e grazioso paese nell’hinterland milanese. In una diroccata quanto suggestiva arena all’aperto incontro Brad Mormino. Americano di Chicago, papà siciliano, Brad è un cantautore con all’attivo un album “Love hurts anyway”, un pop-rock a stelle e strisce che esprime appieno l’animo e l’arte di questo poliedrico artista.
Un destino segnato quello di Brad a cui regalarono, il giorno della sua nascita, un rullante che, ancor oggi, custodisce gelosamente: una targa all’interno dello strumento ricorda la data della sua venuta al mondo.
Brad inizia la carriera durante gli anni universitari, picchiando sulla batteria in diverse band rock-metal. «Negli anni ’60 in un telefilm che si chiamava The Monkeys (Le Scimmie) c’era Miki, batterista e cantante - racconta Brand, che continua - volevo essere come lui. Un giorno il cantante del mio gruppo andò via, allora presi il microfono ed iniziai a cantare e suonare la batteria, proprio come Miki».
Metallica, Black Sabbath, Van Halen: la passione diventa lavoro. Brad capisce che la sua strada è un pentagramma lastricato di note. Finiti gli studi torna a Chicago: trova competizione ma più opportunità: lavora come turnista per cori e gruppi, scrive jingle pubblicitari e compone una sigla per una soap opera.
Cuore rock e sguardo intenso, Brad Mormino sceglie di essere un front man: la batteria non gli permette di interagire col pubblico e lui ama la gente.
Decide di realizzare il suo primo album: è il 2001. Negli Stati Uniti il disco non ha molta fortuna, ma nel resto del mondo attestazioni di stima e ammirazione sono all’ordine del giorno:«da Italia, Australia, Nuova Zelanda, Francia, Perù la gente mi inviava mail di apprezzamento per l’album».
È il 2004 e Brad decide di partire per l’Italia:«le mie origini siciliane e il fatto di parlare un po’ di italiano mi hanno aiutato nella scelta della destinazione».
Milano è la meta prescelta. Grazie al prezioso aiuto di Moreno Lissoni di Slamrocks, Brad conosce il chitarrista toscano Luca Giberti, con cui instaura da subito un rapporto che va oltre la professione di musicista.
Nel 2006, dopo due anni di serate acustiche, decide che è arrivato il momento di fondare una band:«sono un uomo da gruppo, ho bisogno di sentire il rumore della grancassa dietro di me». La prima formazione vede la partecipazione di Deneb Buccella alla batteria, Giampaolo Pasquile alle tastiere, Mike Botula al basso. Giampaolo e Mike lasciano il gruppo per motivi personali e vengono sostituiti da Andrea Patruno (basso), Leandro Diana (chitarra) e Peppe Diana (tastiera).
In questi anni Brad impara a conoscere il pubblico italiano, che definisce più attento e rispettoso della sua musica rispetto a quello “impacchettato” americano.
Un secondo disco è all’orizzonte ma, in Italia, le case discografiche difficilmente investono su cantanti stranieri: «per suonare come gruppo che fa inediti dobbiamo andare via dall’Italia: è difficile lavorare e vivere da musicista in questo paese».
Brad è un compositore ma per vivere insegna inglese: «Insegnare era l’ultima cosa che volevo fare, ma mi permette di continuare come musicista - dice - tutto ha un costo: sala prove, strumenti, microfoni, bacchette, percussioni, cibo, vestiti».
Brad accarezza il suo cane, Tobia. Si aggiusta i lunghi capelli. Per tutto il tempo ha indossato occhiali scuri e parlato nel suo buon italiano con inflessione americana. Un sorriso esce dalle sua labbra. Alza il colletto della giacca, mi saluta con una stretta di mano e fa ritorno verso casa con il suo fido amico.
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