Il 9 giugno uscirà "Drones", il nuovo disco dei Muse. In questa intervista la band inglese ci racconta come sono nate le canzoni del concept album, veri e propri capitoli di una storia epica.
Il 9 giugno, dopo un’attesa lunga tre anni, i Muse pubblicheranno il nuovo album "Drones". E, come avevano dichiarato loro stessi diversi mesi fa, sarà un disco molto più aggressivo rispetto a “The 2nd Law”. Durante l’incontro con la stampa, il bassista Chris Wolstenholme ci ha introdotti nelle atmosfere dell'ultimo progetto della band.
Com’è nato il concetto di Drones? Ascoltando l’album ho avuto l’impressione che siate tornati ad un sound più apocalittico.
“Premetto che Drones è nato da Matthew, che si è occupato della stesura di tutti i pezzi. E’ vero che in passato i nostri album avevano un tema comune che collegava i vari brani, ma ogni canzone era una storia a sé. Questo, invece, è il primo vero concept album che abbiamo mai registrato dato che tratta di una vera e propria storia che si evolve in varie puntate. E sì, dal punto di vista degli arrangiamenti siamo tornati alle origini con sonorità epiche e apocalittiche, con un sound che richiama vagamente Citizen Erased e Black Holes & Revelations”.
Nello specifico, chi o cosa sono i droni?
I droni sono gli esseri umani che rimprigionano e sottomettono i loro simili, torturandoli psicologicamente e annientando l’identità delle loro vittime. Nelle 12 canzoni di Drones, viviamo la vicenda di un essere umano: all’inizio, in Dead Inside e Psycho, viene fatto prigioniero e costretto a obbedire. Successivamente, dopo una condizione di torpore fisico e mentale, il protagonista chiede pietà e, finalmente, cova il desiderio di ribellarsi. Infine, dopo una lotta tormentata, riesce a sconfiggere i droni che lo avevano imprigionato.
Ci è arrivata l’indiscrezione che avete registrato parte dell’album a Milano, è vero?
Sì, verissimo! Abbiamo registrato la parte di archi qui a Milano.
In quanto tempo avere registrato l’album?
Abbiamo iniziato a provare qualcosa a maggio, ma non più di due volte a settimana. Tra l’altro le canzoni sembravano prendere forma ancora più velocemente del solito. Siamo andati al Warehouse di Vancouver a ottobre e siamo stati lì fino a novembre, dopodiché siamo venuti a Milano e abbiamo completato il disco verso febbraio. Infine c’è stata la fase di mixaggio che si è conclusa tre settimane fa.
Abbiamo parlato dell’argomento di Drones. Potresti raccontarci, invece, come si è evoluta la scrittura dell’album?
Come abbiamo già detto, Matt si è occupato interamente della scrittura dei brani. Posso dirti con sicurezza, però, che ha scritto le canzoni proprio nell’ordine in cui le abbiamo messe nella scaletta. Alla fine, un concept è molto simile ad un libro e scrivi le canzoni come fossero dei capitoli: non puoi scrivere il capitolo 7 se non hai già scritto tutti quelli precedenti.
Nella nostra società ci sono dei droni? C’è un modo per sconfiggerli?
Secondo me è la tecnologia che ci trasforma in droni. A me piace la tecnologia e la uso, ci mancherebbe. Un giorno, però, mentre ero a casa con la mia famiglia ho riflettuto su una cosa. Quindici anni fa, quando ero un ragazzo, uscivo con gli amici, ci guardavamo negli occhi e parlavamo. Oggi invece siamo connessi dappertutto grazie a questi mezzi ma stiamo tutti rintanati nelle nostre case, abbiamo perso il contatto umano. Non mi sorprenderei se diventassimo dei mostri con occhi grandi e braccia lunghissime ma col resto del corpo non sviluppato. E’ una situazione allarmante. Non immagino pensare a come saranno le cose tra 50 anni.
Nel disco c’è anche il discorso che John Fitzgerald Kennedy fece ad Astoria nel 1961.
Sì, abbiamo deciso di utilizzarlo perché è, in primis, un bellissimo discorso che potrebbe esser valido anche oggi. Inoltre, pensiamo che possa aiutare a capire meglio la chiave di lettura di alcuni brani di Drones. Senza questo supporto, le canzoni potrebbero essere mal interpretate.