Mosè in Egitto torna sulle tavole del San Carlo a duecento anni esatti dal debutto in un originale allestimento della Welsh National Opera.
Fra tenebre e colori
Un buio fitto e minaccioso avvolge l’avvio dello spettacolo. Il regista David Pountney, infatti, interpreta alla lettera le immagini cupe poste ad apertura dell’«azione tragico-sacra», che il librettista Andrea Leone Tottola fa cominciare con la rappresentazione della piaga dell’oscurità inflitta all’Egitto dal Dio degli Ebrei. Pochi bagliori balenano sul palcoscenico, e il direttore Stefano Montanari utilizza due bacchette fosforescenti per poter comunicare le proprie intenzioni agli orchestrali e ai cantanti.
L’invisibilità aggiunge una speciale suggestione al grande numero iniziale, che si snoda come un grandioso lamento fissando da subito la tinta dell’intera partitura. Perché questo lavoro ha davvero una cifra stilistica sua propria all’interno della variopinta tavolozza del Rossini napoletano. Mosè si ricollega al particolare filone dei drammi per musica di soggetto biblico, tradizione nata alla fine del Settecento per aggirare il divieto di rappresentazione in tempo di quaresima per mezzo di una patina sacra e un alibi edificante.
L’ambientazione veterotestamentaria suggerisce al compositore un’atmosfera peculiare e lo stimola a esplorare risorse inedite e preziose. Il canto virtuosistico non manca (e il cast del debutto era davvero stellare), ma il maestro pesarese fa ampio ricorso al coro e associa le voci in vaste pagine d’assieme con rara perizia combinatoria. E soprattutto amplia il proprio lessico in direzioni nuove: l’estasi della preghiera, la ieraticità della parola, il furore della maledizione.
Il contrasto tra Ebrei ed Egiziani viene risolto in modo un po’ schematico da Pountney con la complicità dello scenografo Raimund Bauer. Due enormi muri mobili rappresentano i popoli in conflitto, identificati da due diverse gamme cromatiche (i costumi sono di Marie-Jeanne Lecca): le sfumature del verde e dell’azzurro per gli Ebrei, i toni caldi dell’oro, dell’ocra e del rosso per gli Egiziani. Un grande tavolo rettangolare compare spesso a fare da linea di confine tra i due fronti; le figure di mediazione (Amaltea, Elcìa) lo occupano o lo scavalcano nel vano tentativo di gettare ponti. Anche la gestualità è efficacemente differenziata: i seguaci di Mosè volteggiano come sospinti dal soffio divino, i sudditi di Faraone assumono pose rigide e meccaniche modellate dalla sottomissione e dal terrore. Un po’ gratuita appare però la conclusione ecumenica, nella quale gli Egiziani, anziché travolti dalle onde del mare che si richiude, si riconciliano con i loro nemici sciogliendosi in fraterni abbracci.
Virtuosismo ed espressione
Bacchette luminose a parte, Montanari offre una lettura assai intensa dell’opera rossiniana, alternando con oculatezza solennità e intimità, gesti incalzanti e distensioni elegiache. La smagliante bellezza del suono si sposa con una grande compattezza complessiva, fatta eccezione per qualche sbavatura del coro nei passaggi più movimentati.Le voci sono tutte di alto livello. Spicca la superlativa interpretazione di Enea Scala nei panni di Osiride; al ruolo creato da Andrea Nozzari, il tenore ragusano dona una notevole varietà di inflessioni, sempre sorretto da un perfetto controllo dell’emissione e da un’innata eleganza; alle doti vocali, adoperate con costante generosità, si accompagna una notevole presenza scenica, che conferisce credibilità e spessore al personaggio. Buona anche la prova di Alex Esposito, che disimpegna l’ardua parte di Faraone con piglio sicuro. Carmela Remigio (Elcìa), chiamata a misurarsi con le difficoltà tecniche ed espressive immaginate da Rossini per Isabella Colbran, supera brillantemente la prova. Precisione e temperamento non difettano a Christine Rice, capace di dare risalto alla trepidante e angustiata Amaltea.
La sala, piena nonostante la proposta non proprio convenzionale, si lascia irretire dalla bellezza della musica e applaude con trasporto.
Spettacolo: Mosè in Egitto
Visto al Teatro San Carlo di Napoli