Abatantuono: stanco di recitare

Abatantuono: stanco di recitare

Disegnato su Diego Abatantuono: il personaggio ha il suo stesso nome, Diego, per far prima sul set e non confondersi; una esistenza simile: uno, l’attore, nato e vissuto a Milano ma da genitori pugliesi, in un quartiere abitato da pugliesi, l’altro, il personaggio, nato a Lecce, ma approdato a Milano per fare l’università e iniziare la carriera in magistratura; nessun pregiudizio su meridionali e settentrionali nel senso che a quelli non va di far niente mentre a quegli altri gli piace faticare; torna in tv Il giudice Mastrangelo, gran successo di ascolto due stagioni fa. Resta, accanto ad Abantauono, Antonio Catania, il fido Uelino, l’autista tutto-fare esperto di tradizioni e pettegolezzi locali. Va via Amanda Sandrelli, la commissaria che il giudice avrebbe dovuto sposare. Arriva Alessia Marcuzzi, la giovane PM con cui, anni prima, aveva avuto un brevissimo amore. Aleggia ancora il sentimento del ritorno a casa dopo una lunga lontananza, il piacere di gustare i vecchi sapori della cucina, la nostalgia verso legami perduti per distrazione e superficialità, l’emozione di rivedere rocce, mare, sole, ulivi, fichi d’india e il panciuto barocco dei palazzi che la luce rende d’oro chiaro. Abatantuono dice che di questo Mastrangelo gli piace tutto. «Ottimo cast, armonia totale, riprese rilassate. Solo una cosa non mi piace: la messa in onda il venerdì. Perchè è una commedia all’italiana adatta al pubblico trasversale della domenica sera. Vedremo». Abatantuono è attore senza fuoco sacro: «Mai detto da bambino: Voglio recitare. L’ho fatto. E solo perchè mio zio stava al Derby e io là facevo il tecnico delle luci. Un mestiere bellissimo, recitare, che oggi mi ha un po’ stancato, però. Non sopporto più il trucco, le prove, i vestiti, l’attenzione addosso. Forse passo anch’io alla regia, anche se mi dà ai nervi perchè lo fanno tutti». Chissà. Se dovesse fare questo passo, potrebbe girare una storia sul nostro futuro messo in pericolo: l’acqua che scarseggia, i deserti che avanzano, le automobili che inquinano perchè è questo ciò che davvero lo preoccupa, per sé e per i suoi tre figli. «Vorrei vedere cantieri che riparano gli acquedotti non quelli della Tav. A che mi serve arrivare con l’Alta velocità un’ora prima, da Milano a Roma, se poi quest’ora la perdo nel traffico?». E’ uomo professionalmente fortunato perchè ha girato moltissimi film con registi che piacciono alla gente, tra cui al primo posto per lui stanno Pupi Avati e Gabriele Salvatores: «Avati è come un padre: mi affido a lui ed eseguo. Gabriele, di cui sono socio, è come un fratello». Poi c’è Veronesi: «Fare Giuseppe in Per amore, solo per amore, un film bellissimo, con Peneplope Cruz che faceva la Madonna, è stata una grossa prova». Infine i Vanzina, Sironi, Marco Risi e Marcello Cesena, quello dei Broncowiz, autore di un film che hanno visto in pochissimi, Mari del Sud, che trova perfetto: «Il guaio del nostro cinema è che abbiamo abbandonato la tradizione. Far ridere pareva fosse peccato. Ogni giovane autore s’è sentito in dovere di fingersi intellettuale. Molti sono stati colti dalla sindrome di Kubrick e a ogni film cambiavano stile. Siamo caduti in un precipizio». Ma Abatantuono è anche uomo umanamente fortunato perchè non ha miti irragiungibili con cui confrontarsi: «Ho fatto cinema perchè mi piaceva la grande commedia, da Monicelli a Risi, da Comencini a Scola, ma non ho mai pensato di imitare qualcuno. I figli di Tognazzi, specie Gianmarco, dicono che somiglio un po’ al loro papà, Ugo. Qualcuno sostiene che ho dei tratti di Gassman. Certo ho il distacco dal mestiere che aveva Mastroianni, tanto che il direttore della fotografia Franco Di Giacomo sosteneva che avrei dovuto fare un film con Marcello e Michalkov perchè come loro, finito di girare, mi piace andare a bere una grappa e non pensarci più».