Arte fuori dal palco

Il jazz italiano visto dall'altra sponda dell'Oceano

La Blue Star Orchestra con Pippo Barzizza al sax, 1925
La Blue Star Orchestra con Pippo Barzizza al sax, 1925

“Jazz Italian Style From Its Origin in New Orleans to Fascist Italy and Sinatra” è il titolo originale di un recente libro scritto da Anna Harwell Celenza. Ora disponibile in Italia grazie a Carocci Editore.

Parliamo un po' di Jazz all'italiana, il libro che Anna Harwell Celenza ha scritto approfittando di un lungo soggiorno a Roma. Colpita dalla scena jazzistica nostrana la Celenza - docente di Storia della Musica e Radiogiornalismo alla Georgetown University – si è cimentata con la storia del jazz in Italia sino agli Anni Cinquanta. 

E dopo un meticoloso lavoro di ricerca documentale, ha pubblicato nel 2017 per la Cambridge University Press un testo che ora ci viene presentato da Carocci Editore nella traduzione di Anna Maria Paci.

Dall'Italia all'America e ritorno

Il libro - sottotitolo “Da New Orleans all'Italia fascista e a Sinatra” - ricorda subito che nel nascere e fiorire di quel genere musicale che si chiamerà jazz – il termine appare sulla stampa solo nell'aprile 1912 – ebbero larga parte molti emigrati ed oriundi italiani. 

Non a caso già nelle prime band da intrattenimento di New Orleans, a cavallo tra i due secoli, incontriamo molti nomi napoletani o siciliani quali Provenzano, Roppolo, Loyocano, Veca, validissimi strumentisti che accompagnarono l'onda travolgente del jazz - che dopo il ragtime cavalcava man mano le mode del fox-trot, dello shimmy, delle canzoni di Tin Pan Alley – alla conquista di Chicago prima, e di New York poi. 

Non a caso, la prima formazione jazz a conquistare l'onore del disco ed una fama mondiale fu l'Original Dixieland Jass Band, fondata dal grande cornettista Nick La Rocca e dal batterista Tony Sbarbaro. Il primo, pare, ad usare una “batteria” di percussioni.

La musica sincopata invade l'Europa

L'ODJB di La Rocca invase l'Europa con i 78 giri Victor e Columbia, le orchestre militari al seguito delle truppe USA nella Grande Guerra fecero il resto: Accompagnata da un tocco di esotismo e da una valenza “futuristica”, la nuova musica sincopata americana conquistò anche l'Italia, dove l'American Jazz Band – formazione bianca - viaggiò a lungo su e giù per lo Stivale. 

Possedeva pure un certo sapore “indigeno”, e piacque a tanti: ai Futuristi, certo, ed ai giovani amanti del nuovo, piacque ai programmatori EIAR, piacque pure ad un certo Benito Mussolini, il quale invitava volentieri qualche jazzista a casa sua. E che diede a quest'arte il quartogenito Romano, pianista e compositore di jazz tra i più apprezzati in Europa, scomparso nel 2007.

Una lunga cavalcata sino agli Anni Cinquanta

Insomma, il panorama del jazz italiano, dal Primo al Secondo Dopoguerra, fu estremamente ricco e fertile. Celenza ci accompagna, con una valanga di annotazioni preziose e puntuali, attraverso le vicende artistiche di famosi cantanti come Natalino Otto, Alberto Rabagliati, il Trio Lescano, e di eccellenti orchestre swing come quelle di Cinico Angelini, Pippo Barzizza, Gorni Kramer. 

Sino ad arrivare ad un Epilogo che vede il giovanissimo Frank Sinatra ascoltare con attenzione i dischi che dall'Italia giungevano nella comunità italo-americana di Hoboken, dove era nato. Cosa che suggerisce quanto certa musica nostrana, intrisa di jazz, abbia influenzato il suo particolare stile, e probabilmente quello di altri famosi crooners come Dean Martin, Louis Prima Tony Bennet, Perry Como, Vic Damone. 

Tutti quanti, guarda caso, con un cognome che denuncia indubbie origini nostrane.