Arte fuori dal palco

Musica in libreria: Angelo Fabbrini, un mago degli accordatori di pianoforti

Maurizio Pollini
Maurizio Pollini © Rosellina Garbo

Già vendere pianoforti non è facile, prendersene poi anche cura portandone suono e meccanica all'eccellenza è appannaggio di pochissimi talentuosi tecnici, come Angelo Fabbrini.

I pianoforti non sono tutti uguali. Anche quelli al top, come uno Steinway D274, un Yamaha Premium o un Bösendorfer Imperial, possiedono ognuno un suono peculiare. Ed hanno bisogno di chi ne curi le prestazioni. Di uno come Angelo Fabbrini, per esempio, un mago degli accordatori di pianoforti, che in La valigetta dell'accordatore, libro appena edito da Passigli (pag.159, euro 18,00) ci racconta tanti episodi di una vita interamente dedicata a questi meravigliosi e complicati strumenti. 

Siano semplici pianoforti verticali o strumenti da gran concerto, Fabbrini li accoglie nel suo laboratorio, li perfeziona e cura uno ad uno con amorevole passione. Mettendo a frutto una smisurata bravura tecnica affinata in cinquant'anni e più di mestiere, ed estesa peraltro al suo efficiente staff. Un episodio per tutti: ricevuto un gran coda alluvionato da Andrea Bocelli per rottamarlo, riuscì a restaurarlo così bene che il grande cantante toscano se lo riportò a casa.

Angelo Fabbrini

Sempre pronto, con la valigetta degli attrezzi in mano

Sono moltissimi i teatri ed i pianisti che vogliono usare gli strumenti che lui porta in giro per il mondo – ne ha centinaia a disposizione nel suo salone, per soddisfare ogni esigenza - apprezzandone la qualità e la maniacale messa a punto, anche in loco. Tanto per capirci, al termine di un concerto Nikita Magaloff gli disse: «Questa sera ho suonato senza la meccanica», Voleva dire che lo strumento era stato così ben preparato da Fabbrini, che quello che potremmo definire l'hardware – tasti, cavalletti, spingitori, martelletti, feltri, corde, smorzatori – erano come spariti. Restavano in primo piano solo le mani del musicista, e la voce dello strumento. 

Anche perché Fabbrini, attivo a lungo in tandem col fratello Vittorio da poco scomparso, sa come gestire le variabili di ogni luogo: acustica, dimensioni, temperatura, umidità. E soddisfare sempre le peculiarità di un determinato repertorio - per Busoni, ad esempio, serve un Bösendorfer 290 - così come le richieste particolari (e qualche volta pure manie e capricci, va da sé) degli artisti. I quali, non poche volte, finiscono per acquistare lo strumento che hanno trovato sul palco.

Keith Jarrett - foto Luciano Rossetti

Tecnicismo, cura maniacale dei dettagli, ma anche vera passione

Il suo è un rapporto strettamente fisico con il piano, sin da quando lo incontra per la prima volta. «Lo tocco e lo tocco ancora, costruendo un rapporto di confidenza; attendo che mi indica la strada da percorrere, che mi sveli qualche segreto, che mi racconti del bosco dal quale proviene, delle persone che ha incontrato prima di me e di quelle che vorrebbe incontrare dopo di me»

Ma anche molto passionale, come quando inseguì a lungo, per mezza Europa, un eccezionale Steinway ascoltato per caso in un laboratorio tedesco. Lo voleva per la sua raccolta: ma quando finalmente lo trovò, era stato irrimediabilmente manomesso.

Negozio Fabbrini a Pescara


A proposito. L'episodio della panchetta rubata è vero, accadde a Parigi. Quella personale di Benedetti Michelangeli era sparita dal palcoscenico del Palais de Congrès poco prima del suo concerto. Ed Angelo Fabbrini dovette rimediare all'ultimo, segando le gambe di quella sottratta a Baremboim per portarla ai 40 centimetri voluti dal maestro italiano. Il quale però il giorno dopo ne fece acquistare subito due nuove.


La valigetta dell'accordatore
Angelo Fabbrini
Passigli Editori
Pag. 159 - Euro 18,00