Per occupare gli ozi estivi (sempre che possiate permetterveli) due libri fondamentali sulla musica russa: un'interessante novità ed una prezioso ristampa
Parliamo dunque di Russia, e di due libri usciti da poco. Il primo è Soviet piano di Luca Ciammarughi, edito da Zecchini Editore. Molto si è indagato e scritto sui rapporti tra i compositori russi ed il regime sovietico, rappresentato dalle figure di Lenin, Stalin, Chručšëv, Gorbačëv.
Ciammarughi affronta invece il tema particolare dei rapporti intercorsi tra i pianisti e quel regime, che nei confronti di ogni forma artistica esercitò sempre uno stretto ed inflessibile controllo. Arrivando, secondo i casi, anche all'emarginazione, alla persecuzione, persino alla soppressione fisica di quanti non sottostavano alle direttive di partito.
Una grande scuola sotto tiro
La grande scuola pianistica russa pullula da sempre di talenti. Qui troviamo storie di nomi più o meno conosciuti, di carriere longeve come quelle di Richter, Aškenazi, Gilels, o di effimere meteore come quelle di Roza Tamarkina o di Jurij Egorov, stroncati da un male a trent'anni. In questo godibilissimo libro, comunque, ad avvincere il lettore - più che i pareri critici - è la vicenda stessa del pianismo russo del '900, visto attraverso la lente di un'analisi storica sui contorti rapporti tra Arte e Potere, negli anni dalla Rivoluzione d'Ottobre alla recente glasnost'.
Alcuni pianisti, sin dallo scoppio della Rivoluzione, cercarono rifugio in Occidente; i più, che restarono in patria, salvo rari casi dovettero pagare prezzi altissimi per esercitare la loro arte, sottostando ad una schiavitù morale e ad un clima di cupa paura, sottoposti spesso a pesanti umiliazioni. Sempre con l'onnipresente possibilità di cadere in disgrazia, e quindi perdere il lavoro od essere esiliati ad insegnare musica in qualche sperduta località caucasica. Oppure peggio, di finire in carcere od a marcire in un gulag. Anche se la colpa era solamente d'essere omosessuali od ebrei.
Una ristampa molto preziosa
Il secondo libro è un testo già noto – I figli di Boris, sottotitolo L'opera russa da Glinka a Šostakovič - uscito da Feltrinelli nel lontano 1980, che viene ora meritatamente ristampato dalla EDT di Torino. L'autore di questo agile excursus sugli autori d'opera russi è Rubens Tedeschi (1914-2015), per lungo tempo autorevole critico musicale de L'Unità, cui si deve pure di Addio fiorito asil, piccolo ma succoso saggio che nel 1978 diede impulso alla rivalutazione critica del melodramma italiano tra Otto e Novecento. Le 250 pagine de I figli di Boris riempivano allora un vuoto nelle biblioteche italiane, perché sull'argomento esistevano solo i vecchi ed introvabili testi di Gavazzeni, Calvocoressi e Pestalozza.
A distanza di quasi trent'anni il libro di Tedeschi mantiene tutt'ora la sua validità: perché il suo segreto sta nell'affiancare ad una scrittura piana e discorsiva una grande acutezza, profondità di giudizi, buona completezza di informazioni. Elementi utilissimi per un primo e già soddisfacente approccio alla tematica proposta.