Ugo Ronfani racconta il "teatro della persona" di Walter Manfrè. Un saggio sul teatro di ricerca che ha conquistato piccole e grandi platee negli ultimi 20 anni.
E’ un momento oscuro quello che stiamo vivendo. Affogàti nel mare globale della comunicazione, tra un vecchio modo di fare cultura che non passa ma non ha più niente da dire e un nuovo modo che parte confuso e disgregato, senza avere ancora né forma né pubblico.
Culturalmente e teatralmente è il buio, la nebbia, il caos, la dispersione. L’Italia è un paese perso, impoverito, alla deriva economica e sociale, un paese culturalmente disoccupato e sempre più ignorante. L’incendio devastante degli ultimi 20 anni dove i malgoverni hanno bruciato la scuola, l’informazione, il lavoro, i risparmi, gli entusiasmi fino anche alle speranze dei sudditi (cittadini ancora non ne vedo) ha lasciato solo macerie.
Ma sotto la cenere… sotto la cenere qualcosa succede ed è successo. Magari è nascosto, un po’ segreto, circola solo per gli appassionati, l’èlite se volete, anche se per èlite intendiamo non tanto il ceto ricco quanto quella piccola parte di popolazione rimasta curiosa, attiva e pensante. Ecco per quel 3 per cento dell’Italia il Teatro c’è ancora. E c’è qualcosa di più e di diverso dalle ammuffite stagioni teatrali dei teatri stabili, carrozzoni che oggi chiamano Teatri Nazionali. C’è un altro teatro, un teatro di parola e non d’immagine, un teatro più lento, più piccolo, qualcosa che preme su di noi, che ci coinvolge.
Nel mare della comunicazione diffusa e confusa, nel bombardamento generalizzato e invasivo di rumore e immagini c’è una voce. Profonda. Suggestiva. Inquietante. E’ il regista Walter Manfrè che ci fa ascoltare questa voce. E’ una voce sottile, un sussurro teatrale che ci scuote come un tuono, ci penetra e ci invade e dopo non siamo più gli stessi.
Le nostre coscienze attraverso l’opera di Manfrè assumono la consapevolezza della sofferenza, della devastazione, della rinuncia, della tragedia, del deliro, del conflitto, dell’emozione. Manfrè ci porta alle radici dell’umanità cioè alla radice del dolore. Ma soprattutto Manfrè ci riporta alla dimensione umana della persona. E’ l’individuo-attore che recita ed è l’individuo-spettatore che fruisce dello spettacolo. Il rapporto è “one to one”. E’ un teatro antieconomico quello di Manfrè, dove si privilegia l’intensità alla quantità, dove si ricerca l’attenzione e l’emozione dello spettatore, dove lo si guarda in faccia, dove lo si scopre dentro. Lo spettatore è chiamato ad essere vivo e protagonista nella scena che si crea per lui e con lui. Un teatro di ricerca si. Quella vera e di altissima qualità così rara a vedersi nel nostro paese. Così rara e così bella che “La Confessione” diventa uno degli spettacoli di maggior successo degli ultimi 20 anni, richiestissimo in Europa; nonostante il numero ridotto di spettatori ammessi ad ogni replica, lo spettacolo viene replicato così tante volte da fare grandi numeri.
E’ una scoperta, un passaparola, una goccia che diventa rigagnolo e poi torrente e scorre con la forza di un fiume in piena. Cercate il teatro di Walter Manfrè nelle vostre città, nei luoghi nascosti e oscuri, nelle culle segrete dei carbonari della cultura, cercatelo sotto la cenere del vecchio teatro che non esiste più. Con Manfrè il teatro è vivo. Cercate il teatro di Walter Manfrè in questo bel saggio di Ugo Ronfani, il maestro della critica che racconta e contestualizza il “teatro della persona”.
Ugo Ronfani
“Walter Manfrè e il teatro della persona” - Editore Sikeliana Mineo (CT) 2015