Si fa molta ironia sul fatto che le immagini via satellite arrivano con tre secondi di ritardo rispetto a quelle analogiche ma intanto non ci si accorge che iMondiali di Germania stanno offrendo due trasformazioni epocali: la prima riguarda le riprese in campo (la messinscena della partita), la seconda, invece, la rappresentazione dell’evento nel suo insieme.
In questi primi giorni, molti lettori si sono lamentati delle riprese, paventando addirittura un passo indietro: la telecamera sembra lontana, i primi piani quasi assenti, le inquadrature oltremodo contenute. Questo difetto lo si riscontra nelle partite trasmesse dalla Rai e viste su televisori tradizionali (quelli con lo schermo quadrato, compresso fra due bandoni neri). In realtà, le riprese sono molto belle ed esprimono una lettura dell’avvenimento tutt’altro che banale. Perché allora la sensazione di vecchio? I Mondiali sono ripresi in digitale, in formato widescreen, e per essere goduti nella loro pienezza hanno bisogno di televisori Lcd con schermo piatto e rettangolare. Siccome la porzione del campo da gioco che si vede è piuttosto ampia non c’è bisogno di grandi stacchi. Anzi, più la telecamera è ferma più aumenta l’effetto «live» (l’idea di essere come allo stadio è rafforzata dal sonoro) perché, per la prima volta, la telecamera non riprende soltanto il giocatore che ha la palla (per 50 anni questa è stata la grammatica tv del calcio)marivela anche imovimenti dei giocatori che non hanno la palla, che «attaccano gli spazi».
Dai Mondiali del ’94 è in atto un ripensamento sulla riproduzione del calcio in tv. Le disposizioni della Fifa in materia di riprese televisive rivelano motivazioni profonde che non vanno sottovalutate: inquadrature tradizionali in leggera «plongée», campi lunghi, scarsi replay, pochissimi inserimenti grafici (il tempo e il risultato sono inseriti dalla regia nazionale), nessun aiuto elettronico (fuorigioco, distanze, velocità della palla, ecc.), scarsa drammatizzazione del contesto. Secondo la Fifa, infatti, la tecnologia era arrivata al punto critico, stava vampirizzando il calcio: o si cambiano alcune regole fondamentali del gioco (telecamere in porta, moviola in campo, arbitro che colloquia con la regia) o il mezzo televisivo ha raggiunto la saturazione.
Germania 2006 (come tutti i Mondiali o le Olimpiadi) è quel che si definisce un evento mediatico: un’impressionante kermesse sportiva che ha già nei numeri la sua certificazione di massa, per audience e tv collegate, uno spazio di solito privato (la casa) che diventa pubblico (mille emille altre case si trasformano nel luogo di una cerimonia collettiva), uno sconvolgimento del palinsesto che attraversa i generi, li scompone, li ricompatta, li espande nel segno di una forte eccitazione popolare.
Ebbene per la prima volta un evento mediatico è trasmesso non da un solo canale (come succede tradizionalmente nella tv generalista) ma da più canali in contemporanea. L’offerta Sky, l’offerta della tv a pagamento, prevede infatti che Germania 2006 sia spalmata su cinque canali: uno trasmette la diretta, un altro la trasmette in 16:9, un altro ripropone le azioni più interessanti, un altro ancora le partite già giocate e l’ultimo, infine, il commento della Gialappa’s. Non solo: attraverso la funzione «active» lo schermo è scomponibile in sei riquadri ed è possibile seguire la partitama anche il collegamento con la sede degli azzurri, un notiziario, i replay particolarmente significativi.
C’è in atto una forma di ebbrezza tecnologica che quasi ci invita a rimettere i piedi nelle orme della storia, a ritornare sulle nostre proprie tracce. Di fronte a un grande schermo in 16:9 si vive l’illusione di essere allo stadio (mentre prima la tv manifestava un efferato bisogno di inghiottire il corpo estraneo: l’evento sportivo per raggiungere la piena televisività doveva essere sfrangiato da una tecnologia che originariamente non gli appartiene). Ma, nello stesso tempo, di fronte a un evento multicanale proviamo più che mai la sensazione di vivere in un mondo virtuale, di essere immersi in un bagno di segni che rimandano solo a se stessi e nulla hanno più a che vedere con la sostanza «vera» della realtà. E questa è la vertigine del calcio in tv.
Di Aldo Grasso
Di Aldo Grasso