Il carismatico violinista ceco Pavel Šporcl protagonista di una serata entusiasmante al Festival delle Nazioni 2018, insieme al suo Gipsy Way Ensamble
«Da molti anni cerco di espandere i confini della musica classica al più ampio spettro di ascoltatori, e cerco di farlo anche attraverso gli oggetti che da secoli ci circondano. Per questo ho chiesto al miglior liutaio ceco un violino per il nuovo millennio. Di colore blu, su mia richiesta, che rappresenti un nuovo approccio alla tradizione, un simbolo di ribellione contro le regole e le convezioni». E di atteggiamenti anticonvenzionali, a parte il blu del suo violino Pavel Šporcl, il musicista di České Budějovice – la città della birra Budwaiser – non è certo avaro. Anzi.
Vivere di scelte controcorrente
Basta considerare i frequenti incontri con musicisti jazz e pop, così come la scelta di costituire, benché musicista classico di formazione, boemo di nascita e profondamente legato alla propria terra (per dire: ha inciso tutto, ma proprio tutto il repertorio per violino dell'amatissimo Dvorák), un piccolo Ensemble dai tratti tipicamente ungheresi e un po' tzigani. Un efficiente trio dal significativo nome di Gipsy Way Ensamble, e costituito da Tomáš Vontszemü al cimbalom, Zoltan Sándor alla viola e Ján Rigó al contrabbasso. Un quartetto agile e dinamico col quale esplora un variegato repertorio oscillante tra classici rivisitati e recuperi folkloristici. Tutti ovviamente trasposti “in chiave di violino”, e conditi da frizzante verve e da un pirotecnico virtuosismo esercitato, tuttavia, con simpatica souplesse, senza istrionismo né esagerato compiacimento. Come a dire: sono bravissimo, lo so, però non ne faccio troppo un vanto.
Contaminazioni tra classico e folk
Eccolo quindi nella Chiesa di San Domenico di Città di Castello, il 5 settembre, sciorinare in un tripudio di distensioni e rubati, di improvvisazioni e divagazioni, una scaletta che muove da una travolgente trascrizione per violino della celeberrima Rapsodia ungherese n. 5 di Brahms, seguita dalla rivisitazione di Hullámzó Balaton (Le onde del Balaton) dell'ungherese Jenö Hubay; e quindi un brano a quattro mani del suo formidabile cimbalist Tomáš Vontszemü e del compositore Ivó Csámpai, Hommage a Janos Bihari (un grande violinista e compositore d'origine zingara, vissuto tra '700 e '800). Poi Šporcl affronta il Capriccio di Béla Babai, altro artista magiaro, ed una sua creazione – Gipsy Fire, il nome dice tutto – seguita da una serie di personali variazioni sull'inno nazionale della Repubblica Ceca Kde domov můj (Dov'è la mia patria) di František Škroup.
Momento che ha un grande pregnanza, dato che il Festival delle Nazioni 2018 è dedicato al suo paese. Seguono le impennate romantiche di Zigeunerwiesen di Sarasate, sostenute sopratutto dalle vibrazioni del cimbalom, e quindi due suggestive contaminazioni con la musica di Astor Piazzolla: la struggente Ave Maria e la colorita Russische Fantasie, brano che ammicca alle tradizioni musicali esteuropee.
E che qui non a caso sfocia nel canto zingaro di Nane Cocha. Curiosamente, una delle più famose csárdás la scrisse nel 1904 un napoletano, Vittorio Monti, noto all'universo solo per questo unico exploit. Ed è qui che – salvo un piccolo bis – si chiude il concerto di uno dei più straordinari violinisti d'oggi. E sicuramente il più estroverso e versatile.