Nel 1707 un giovane Händel musicava "Il trionfo del Tempo e del Disinganno” del cardinale Pamphilj. Lo ritroviamo all'Innsbrucker Festwochen der Alten Musik 2019, diretto da Alessandro De Marchi.
Erudito umanista e ricco mecenate, il cardinale romano Benedetto Pamphilj amava la mondanità e collezionare opere d'arte. Fecondo scrittore, alternava poesie, commedie piccanti ed i versi di oratori moraleggianti, intonati poi da vari compositori fra i quali primeggia Alessandro Scarlatti. Al giovane Händel, in cerca di fortuna in giro per l'Italia e dimorante allora nell'Urbe, affidò il suo oratorio Il trionfo del Tempo e del Disinganno, che vide la luce nel maggio 1707 proprio a Palazzo Pamphilj.
Il “Trionfo” uno, due, tre
Lavoro che venne ripreso poi da Händel nel 1737 a Londra, ma è più noto nella tarda e monumentale versione in inglese del 1757, profondamente rielaborata ed ampliata. Ma nella sua forma primigenia Il trionfo del Tempo e del Disinganno ha tuttavia recentemente registrato negli ultimi anni un crescente interesse: Alexander Pereira, ad esempio, lo volle in forma scenica nel 2002 a Zurigo, nel 2016 alla Scala. C'è da dire che, pur se il libretto è scarsamente drammatico – quattro soli i personaggi a confronto, niente coro – ed eccede in spirito moraleggiante ed in aulico verseggiare, la musica del Divino Sassone è indiscutibilmente pregevole: immediata e fresca l'ispirazione, ricca la messe di invenzioni melodiche, varia ed ardita la costruzione, sia vocale che strumentale.
Non a caso, molte arie le ritroviamo reimpiegate in lavori successivi: prendi l'Agrippina, l'Amadigi, o il Rinaldo dove confluì “Lascia la spina” mutato in “Lascia ch'io pianga”. Ed alcune, come “Fido specchio”,“ Tu del Ciel ministro eletto”, la tenera “Io sperai”col suo oboe obbligato, le pirotecniche “Ricco pino” e “Come nembo che fugge”, il vorticoso quartetto “Voglio Tempo”, si collocano tra i pilastri del repertorio settecentesco.
L'oratorio romano, una miniera da esplorare
Proseguendo ad Innsbruck un prezioso percorso dedicato all'oratorio romano, che ha visto gli anni scorsi recuperare il David di Alessandro Scarlatti ed il Battista di Stradella, Alessandro De Marchi, direttore ed anima delle Innsbrucker Festwochen der Alten Musik, ha presentato questo capolavoro giovanile händeliano nel grandioso Duomo di Sankt Jacob, anche quest'anno in sold out.
Concerta e dirige, come sempre, con grande eleganza e massima precisione, grazie ad una profonda conoscenza di tale repertorio maturata sin dagli anni di studio, oltre che ad un'attitudine stilistica straordinaria. Da quest'anno si avvale della nuova compagine da lui voluta e varata, la Innsbrucker Festwochenorchester, composta da elementi di varie nazionalità selezionati per la loro competenza nel mondo barocco. Si mostrano ognuno strumentisti di vaglia, che lo seguono con perizia e scioltezza, ed assecondano a meraviglia la sua nitida visione musicale.
Quattro voci d'eccellenza
Scelta indovinata anche nelle voci, dal momento che il quartetto ruotante intorno alla figura della Bellezza svolge egregiamente il suo compito. Primeggia ovviamente Karina Gauvin, agile soprano che mette in campo un timbro chiarissimo ed accattivante, sfavillante coloratura, messe di voce esemplari. Non è da meno Sophie Rennert, un Piacere spigliato nelle agilità, e limpidissimo nell'emissione. Il nostro contratenore Raffaele Pe affronta Disinganno con olimpica nonchalance, cesellandone con scioltezza ogni passaggio; il tenore Thomas Walker mette a disposizione del suo Tempo ottima perizia tecnica ed confacente coscienza stilistica.
(visto a Innsbruck il 16 agosto 2019- foto Rupert Larl)