Una è appena arrivata. Il venerdì alle 21 su Rai Uno. L’altra è tornata. Su Italia Uno alle 21,05.
Si tratta di due fictions americane che hanno avuto (soprattutto la seconda) un discreto successo in patria, e si accingono a conquistare estimatori anche da noi.
Parliamo di “Una donna alla casa Bianca” con Geena Davis (la grande, in tutti i sensi, immensa Geena dal sorriso-che-più-americano-non-si-può di “Thelma e Louise”) e di “Una mamma per amica” con Lauren Graham e il suo quasi clone Alexis Bledel, nei golfini anoressici della figliola post-adolescente e pre-perfettina.
Entrambe raccontano vicende di donne, ma donne totalmente agli antipodi, in qualche caso più vicine agli stereotipi del cartone animato che ad esseri umani. Come solo gli americani, nel bene e nel male, sanno fare.
Geena Davis è – come si usa dire in gergo cinematografico – “seduta sopra il titolo”. Ovvero è suo il personaggio del titolo. Prima donna ad essere nominata presidente degli Stati Uniti. Con annessa famiglia che consta di un coniuge lui pure politico, e vagamente recalcitrante (ma non troppo: siamo in America, e sulle pari opportunità non si scherza. Vedere al capitolo Condoleeza), di un figlio maschio che è il sogno di tutte le madri, perfetto, sensibile, intelligente, protettivo nei confronti della sorella più giovane, che, invece - come ogni brava adolescente di questo Terzo Millennio - è annoiata, rompiscatole e sostanzialmente maleducata con pesanti ricadute sui rapporti con la madre.
Geena irrompe nella Stanza Ovale alla prima puntata, causa infarto del Presidente. E subito si trova a dover fronteggiare il maschilismo strisciante di un impagabilmente sornione Donald Sutherland, una crisetta internazionale e alcune rogne domestiche. Dalle quali sarà presto sollevata, perché ad occuparsene sarà – primo nella storia – il marito First Gentleman (in luogo della “solita” First Lady. Così, almeno, ci vengono risparmiati i consueti, improbabili tailleurini e le chiome inchiodate dalla lacca!).
Quello che rende la fiction, a nostro avviso, degna di attenzione, è il mix perfetto di ufficialità e di domesticità. La Davis fa scattare quasi subito il processo d’identificazione, imprescindibile per ogni buon prodotto cinematografico. Leggermente soprappeso rispetto ai tempi delle zingarate in auto, è una donna “intera”. Donna come lo si può (lo si deve?) essere oggi. Acciaio e velluto, e qualche umana incertezza che la rendono ancora più credibile e più simpatica. Sa affrontare i falchi di Washington senza dimenticarsi della virilità probabilmente ferita del marito e della iper-sensibilità della prole. Ha i tacchi di ordinanza, ma appena può ne scende, ben lieta, e sa impostare rapporti di squadra né caramellosi né macho-style con le donne del proprio staff.
Insomma, guardandola ci si diverte. E, tenendo cuore e mente ben aperti s’impara anche qualcosa su come - anche se è “solo” una fiction - sia possibile, certo auspicabile, imparare a coniugare in maniera equilibrata la gestione di un potere totalmente nuovo per il genere femminile con la memoria, la consapevolezza, di una tenerezza che è nostro appannaggio da sempre.
Tutt’altra storia quella delle “ragazze Gilmore”, ovvero la madre Lorelai e la figlia Rori di “una mamma per amica”.
Qui abbiamo una madre che è rimasta incinta sedicenne e ha deciso, nonostante la famiglia alto-borghese non ne condivida le scelte, di tenersi la piccola, andare a vivere da sola come una ragazza qualsiasi, e crescere la figlia facendone il fulcro della propria esistenza. Purtroppo Lorelai è doppiata con una vocina pigolante che, coniugata alla gestualità da diciottenne smorfiosissima (in realtà –se la matematica non è un’opionione – di anni dovrebbe averne quasi quaranta), e all’abbigliamento e al comportamento alla Paris Hilton ante litteram, ne fanno, giustappunto, più un cartoon che un tipino in carne e ossa. Al suo confronto, la pur insopportabilmente equilibrata e adorabile figliola Lorelai, sembra un moloch di simpatia e salute mentale.
Le due scorazzano per una cittadina ipotetica del Cennecticut dalla quale la parola “realtà” è severamente bandita, essendosi gli sceneggiatori ispirati fino all’overdose ai personaggi più “buffi” di Dickens. Tutti gli abitanti del paese sono scervellati o esagerati o tanto obesi quanto garrulamente simpatici (quindi odiosi). Tutti tranne quel povero diavolo di Luke, fidanzato in pectore di Lorelai, che, però, frenato oltre che dalla sceneggiatura anche da un barlume di buon senso, si astiene dal dichiararsi per ben cinque serie (quella in onda è la sesta).
La Presidente di Geena Davis e l’adulta in perenne regressione di Lauren Graham sono due facce della stessa medaglia.
Le due donne: quella che potrebbe essere, e quella che molti uomini vorrebbero fosse, proposte dai geni dell’enterteinement d’oltre Oceano, oggi. Così come ieri ci hanno proposto le girls fuori di testa di “Sex and the city” e le casalinghe citrulle di “Desperate housewives”. Una possibile, per quanto edulcorata, realtà contro la fantasia dello stereotipo senz’anima.
Non che “Una mamma per amica” sia da bocciare. Se solo lo si colloca nel genere “fantasy”, è sicuramente molto ben scritto, con citazioni anche colte, un estremo (e raro nei telefilms americani) buongusto nell’abbigliamento delle due interpreti e negli interni delle case altoborghesi, nonchè un ritmo che non flette mai.
A noi, però, piace di più la Geena che arranca sui tacchi dietro alla vita, e a tratti sa anche prenderla in pugno.
Biancaneve ci convinceva quando eravamo molto più giovani. Adesso sappiamo che oggi non sopravviverebbe. Col traffico che c’è il Principe Azzurro arriverebbe in ritardo…
Si tratta di due fictions americane che hanno avuto (soprattutto la seconda) un discreto successo in patria, e si accingono a conquistare estimatori anche da noi.
Parliamo di “Una donna alla casa Bianca” con Geena Davis (la grande, in tutti i sensi, immensa Geena dal sorriso-che-più-americano-non-si-può di “Thelma e Louise”) e di “Una mamma per amica” con Lauren Graham e il suo quasi clone Alexis Bledel, nei golfini anoressici della figliola post-adolescente e pre-perfettina.
Entrambe raccontano vicende di donne, ma donne totalmente agli antipodi, in qualche caso più vicine agli stereotipi del cartone animato che ad esseri umani. Come solo gli americani, nel bene e nel male, sanno fare.
Geena Davis è – come si usa dire in gergo cinematografico – “seduta sopra il titolo”. Ovvero è suo il personaggio del titolo. Prima donna ad essere nominata presidente degli Stati Uniti. Con annessa famiglia che consta di un coniuge lui pure politico, e vagamente recalcitrante (ma non troppo: siamo in America, e sulle pari opportunità non si scherza. Vedere al capitolo Condoleeza), di un figlio maschio che è il sogno di tutte le madri, perfetto, sensibile, intelligente, protettivo nei confronti della sorella più giovane, che, invece - come ogni brava adolescente di questo Terzo Millennio - è annoiata, rompiscatole e sostanzialmente maleducata con pesanti ricadute sui rapporti con la madre.
Geena irrompe nella Stanza Ovale alla prima puntata, causa infarto del Presidente. E subito si trova a dover fronteggiare il maschilismo strisciante di un impagabilmente sornione Donald Sutherland, una crisetta internazionale e alcune rogne domestiche. Dalle quali sarà presto sollevata, perché ad occuparsene sarà – primo nella storia – il marito First Gentleman (in luogo della “solita” First Lady. Così, almeno, ci vengono risparmiati i consueti, improbabili tailleurini e le chiome inchiodate dalla lacca!).
Quello che rende la fiction, a nostro avviso, degna di attenzione, è il mix perfetto di ufficialità e di domesticità. La Davis fa scattare quasi subito il processo d’identificazione, imprescindibile per ogni buon prodotto cinematografico. Leggermente soprappeso rispetto ai tempi delle zingarate in auto, è una donna “intera”. Donna come lo si può (lo si deve?) essere oggi. Acciaio e velluto, e qualche umana incertezza che la rendono ancora più credibile e più simpatica. Sa affrontare i falchi di Washington senza dimenticarsi della virilità probabilmente ferita del marito e della iper-sensibilità della prole. Ha i tacchi di ordinanza, ma appena può ne scende, ben lieta, e sa impostare rapporti di squadra né caramellosi né macho-style con le donne del proprio staff.
Insomma, guardandola ci si diverte. E, tenendo cuore e mente ben aperti s’impara anche qualcosa su come - anche se è “solo” una fiction - sia possibile, certo auspicabile, imparare a coniugare in maniera equilibrata la gestione di un potere totalmente nuovo per il genere femminile con la memoria, la consapevolezza, di una tenerezza che è nostro appannaggio da sempre.
Tutt’altra storia quella delle “ragazze Gilmore”, ovvero la madre Lorelai e la figlia Rori di “una mamma per amica”.
Qui abbiamo una madre che è rimasta incinta sedicenne e ha deciso, nonostante la famiglia alto-borghese non ne condivida le scelte, di tenersi la piccola, andare a vivere da sola come una ragazza qualsiasi, e crescere la figlia facendone il fulcro della propria esistenza. Purtroppo Lorelai è doppiata con una vocina pigolante che, coniugata alla gestualità da diciottenne smorfiosissima (in realtà –se la matematica non è un’opionione – di anni dovrebbe averne quasi quaranta), e all’abbigliamento e al comportamento alla Paris Hilton ante litteram, ne fanno, giustappunto, più un cartoon che un tipino in carne e ossa. Al suo confronto, la pur insopportabilmente equilibrata e adorabile figliola Lorelai, sembra un moloch di simpatia e salute mentale.
Le due scorazzano per una cittadina ipotetica del Cennecticut dalla quale la parola “realtà” è severamente bandita, essendosi gli sceneggiatori ispirati fino all’overdose ai personaggi più “buffi” di Dickens. Tutti gli abitanti del paese sono scervellati o esagerati o tanto obesi quanto garrulamente simpatici (quindi odiosi). Tutti tranne quel povero diavolo di Luke, fidanzato in pectore di Lorelai, che, però, frenato oltre che dalla sceneggiatura anche da un barlume di buon senso, si astiene dal dichiararsi per ben cinque serie (quella in onda è la sesta).
La Presidente di Geena Davis e l’adulta in perenne regressione di Lauren Graham sono due facce della stessa medaglia.
Le due donne: quella che potrebbe essere, e quella che molti uomini vorrebbero fosse, proposte dai geni dell’enterteinement d’oltre Oceano, oggi. Così come ieri ci hanno proposto le girls fuori di testa di “Sex and the city” e le casalinghe citrulle di “Desperate housewives”. Una possibile, per quanto edulcorata, realtà contro la fantasia dello stereotipo senz’anima.
Non che “Una mamma per amica” sia da bocciare. Se solo lo si colloca nel genere “fantasy”, è sicuramente molto ben scritto, con citazioni anche colte, un estremo (e raro nei telefilms americani) buongusto nell’abbigliamento delle due interpreti e negli interni delle case altoborghesi, nonchè un ritmo che non flette mai.
A noi, però, piace di più la Geena che arranca sui tacchi dietro alla vita, e a tratti sa anche prenderla in pugno.
Biancaneve ci convinceva quando eravamo molto più giovani. Adesso sappiamo che oggi non sopravviverebbe. Col traffico che c’è il Principe Azzurro arriverebbe in ritardo…