Gilmore alla matriciana

Gilmore alla matriciana

Confesso di aver rimandato con più di un pizzico di perplessità il momento di guardare “I Cesaroni”, giovedì su Canale Cinque, diretto dal giovane Vicario (figlio del grande Marco) e interpretato da Elena Sofia Ricci e Claudio Amendola. Ero prevenuta. Lo ammetto. La storia di una famiglia medio-borghese che vive a Roma, nel quartiere Garbatella, con un cast all romans (c’è anche Max Tortora, per buona misura) sembrava dirla lunga sulla schidionata di ovvietà burinimorfe cui mi sarei trovata di fronte.

Invece…Invece, guarda chi si ritrova!, incredibile dictu, una Lorelai Gilmore autarchica, con i lunghissimi, splendidi e ondulati capelli della Ricci, in forma strepitosa dentro una 27 di jeans made in Italy, che recita la parte della madre divorziata – all’incirca quarantenne - di due teenagers, con ritrovata felicità fra le tatuate braccia del “vinaiolo” (ha una vineria) vedovo con tre figli : l’impagabile Amendola, che come “fa” il romano de Roma lui nessun’altro (ma è stato anche il grandissimo interprete di “Mary per sempre”, non dimentichiamolo).

Perché tiro in ballo Lorelai Gilmore, personaggio amatissimo dai giovani e difeso a spada tratta (e consecutio bistrattata) quando ho avuto l’ardire di non sciogliere inni alla serie made in USA? Perché la Ricci, nei “Cesaroni” ne è l’equivalente “alla matriciana”. Quindi, a rigor di logica, più credibile.

Come Lorelai ha il problema di trovare un linguaggio sempre nuovo e duttile con le figlie, ma anche con i figli maschi del nuovo compagno. E’ una donna che lavora (insegna lettere: ha, quindi, come l’omologa statunitense, un discreto back ground culturale). Non si veste da babbiona, ma potrebbe (se solo lo volesse) saccheggiare il guardaroba delle figlie. Spande e spende e splende di gioia di vivere e sa tirare fuori “la bambina che c’è in lei” (questa una delle differenze fondamentali, rispetto a Lorelai: la Ricci è un’adulta che non ha dimenticato che cosa significhi essere piccoli, la Gilmore è un’adulta che non ha mai imparato che cosa significhi lasciare definitivamente, e senza rimpianti, l’asilo d’infanzia).

Ha un compagno con il quale si sforza di costruire un rapporto solido, nonostante le trappole della quotidianità (e, anche qui, un passo avanti rispetto a Lorelai, che si limita a battibeccare, come in una sophisticated comedy Anni Quaranta-Cianquanta: ma forse è proprio questo lo stile di riferimento: le commedie con Katherine Hepburn e Spencer Tracy), e, anche se “I Cesaroni” non ha nessuna velleità “alta”, riesce, a mio avviso, a divertire (molto), facendo scattare anche il processo d’identificazione che è, quasi sempre, la chiave d’accesso al successo (perdonate il bisticcio fonetico) di una serie.
Quello che sarebbe interessante scoprire, ma solo i nostri lettori possono aiutarci, è l’appeal che esercita la Cesaroni in veste di madre-di-un’adolescente rispetto alla Gilmore. Certo, Elena Sofia è “anche” un’amica per le proprie figlie, ma non solo. Né, tantomeno, come nella fiction americana, la figlia della propria progenie. Della serie: “quando ce vò ce vò”. Ecco allora, che, se qualcuno dei ragazzi sgarra, nonostante il suo mantra sia “dialogo, dialogo” (è riuscita a contagiare persino Amendola, ovviamente più propenso ad un approccio in stile “Gladiatore”: roba da film!), tira fuori una grintarella di tutto rispetto. E i buoni, sani, vecchi, desueti valori pieni di ragnatele di prima della Generazione Y, tornano a brillare all’interno di un nucleo che sta garbatamente in bilico tra fiaba e realtà.
Ecco, abbiamo anche noi una “mamma per amica”, solo che la nostra non bamboleggia e prova, quasi seriamente, a raccontarci come sia, oggi, la vita di una donna optionalizzata di lavoro, uomo e figli variegati. Forse gli autori de “I Cesaroni” un’occhiata alle Gilmore l’hanno anche data. Forse. Resta il fatto che a noi – prafrasando una nota pubblicità – a Elena Sofia “ce piace”. E a voi?