Lirica

Gianfranco Cecchele, un tenore da leggenda con due carriere

Gianfranco Cecchele
Gianfranco Cecchele

Dopo una lunga lotta contro il male, ad ottant'anni il grande tenore Gianfranco Cecchele si è spento il 12 dicembre nel suo borgo natale, Galliera Veneta, circondato dall'affetto dei familiari e degli amici.

Era nato il 25 giugno 1938 a Galliera Veneta (PD) Gianfranco Cecchele, e la sua prima passione fu il pugilato dilettantistico, anche se la bella voce spiccava già nelle cerimonie parrocchiali. L'opposizione paterna troncò presto ogni velleità d'una carriera sportiva, ed il giovane Gianfranco dopo essersi sposato nel 1960 e dopo aver svolto il servizio militare, riprese a lavorare nella merceria di famiglia. Però cantava spesso quando c'era l'occasione, con la sua bella voce; ed alla fine, su consiglio di un parente che aveva intuito le grandi qualità naturali, dal giugno 1962 prese a studiare canto con Marcello Del Monaco, fratello del famoso tenore Mario. 

Dopo solo sette mesi di lezioni, il giovane Gianfranco riuscì a vincere il Concorso del Teatro Nuovo di Milano, con la possibilità di esibirsi in un’opera. Evitando però le insidie di un debutto troppo precoce, preferì tornare agli studi. L'occasione giusta venne, e fu quella di cantare al Bellini di Catania, nel marzo 1964, come Michele in La zolfara di Mulè. E di lì ad un anno era Max nella prima assoluta di Wallenstein di Zafred all'Opera di Roma. 

Don José, in Carmen

Una carriera rapidissima e duratura

Di qui partiva una fulminante ascesa ai massimi teatri quale tenore lirico pieno, dotato di un timbro squillante e bel colore di voce. Già poco dopo eccolo cantare in Rienzi alla Scala accanto a Giuseppe Di Stefano, in Aida a Venezia ed a Caracalla (11 recite una di seguito all'altra, sostituendo Pier Miranda Ferraro), in Norma a Parigi accanto a Maria Callas ed a Napoli accanto alla Gencer, in Don Carlo a Roma diretto da Giulini, di nuovo a Napoli in Turandot ed in Gioconda con la Scotto... e poi via nei teatri di tutto il mondo. In cinque anni si esibì, oltre che nelle principali sale italiane - soprattutto alla Scala, al San Carlo, all'Opera di Roma - a Nizza, Bilbao, Monaco, Amburgo; e poi alla Staatsoper di Vienna (dove canterà in tutto ben 69 volte!), all'Opera di Chicago, al Metropolitan di New York ed a Philadelphia. 

Fatti quattro conti, Cecchele totalizza 241 recite solo in questo primissimo lustro d'attività; ma dopo aver raggiunto l'invidiabile soglia di 43 anni di carriera, ammonteranno ad oltre 2000 le recite sostenute in totale. E una buona quarantina i ruoli portati sulla scena, sotto i più grandi direttori.

Anni di intenso lavoro

Tenore verdiano per eccellenza, con uno spiccato interesse per il Verdi “minore” che trovò in lui un interprete appassionato, Gianfranco Cecchele visse due fasi di carriera. Nella prima assunse sin troppi impegni, forzando una colonna di fiato peraltro generosa a sostenere sforzi inauditi. E cantando per di più con una vocalità sin troppo prorompente, fuorviata da una tecnica vocale “alla Del Monaco”, che tendeva ad una fonazione aperta, e più incline alla poderosa declamazione che alla piena cantabilità, non dominando bene la respirazione e non sfruttando a dovere le risonanze “in maschera”. Condotta che può risultare deleteria per la longevità dei propri mezzi, incrinandoli e logorandoli anzi tempo. Difatti, ad un certo punto – siamo a fine luglio 1969 - si dovette operare alle tonsille infiammate, prendendosi poi un lungo periodo di pausa, consapevole dei rischi di un momentaneo ritiro dalle scene. E tornò a rilassarsi nella sua casa di Galliera, a fare per un po' il contadino, come disse in un'intervista ad un popolare settimanale.

A Milano, per Aida

Un po' di sosta, e poi via di nuovo per il mondo

Saggia decisione. Qualcuno lo aveva dato per finito, ma non era affatto così. Difatti dal 1970 in poi – dopo aver rieducato la voce e rinsaldato la tecnica con caparbia volontà – Cecchele visse una seconda, luminosa fase della sua carriera, aggiungendo nel 1981 a Bonn al suo carnet anche il faticoso Otello di Verdi, di cui fu richiestissimo interprete, affrontandolo per 87 volte. Raggiungendo così il traguardo, probabilmente ineguagliato, di 25 personaggi verdiani, e portando ovunque sopratutto i suoi Manrico, Radamès (in 444 recite!), Adorno. Ma nel suo repertorio brillavano pure i ruoli pucciniani di Calaf, Cavaradossi (l'altro personaggio più interpretato), Des Grieux, Dick Johnson, Pinkerton; e quelli veristi di Turiddu e Canio. 

Come ha scritto Paolo Padoan in Voci venete, dal rientro alle scene «il suo è vero timbro tenorile, la voce ha squillo, i suoni sono più polposi e lucenti... l'emissione più controllata, il fraseggio netto e chiaro... i si e si bemolle svettanti e sicuri» con «nuove capacità di legare i suoni e di usare al momento opportuno i portamenti»

Tanto bravo da divenire con gli anni, a sua volta, un richiesto didatta. La sua carriera proseguì sulle scene sino a metà degli Anni Novanta - nel 1998 cantò per l'ultima volta nei panni del Moro a Padova - e in concerto sino agli albori del Terzo Millennio: l'ultima esibizione pubblica, infatti, è del 2012. Nell'agosto del 2017 gli consegnarono a Verona il prestigioso premio alla carriera del Festival Internazionale Scaligero Maria Callas, ultimo fra tanti riconoscimenti ricevuti. Tutti meritatissimi.

 

L'ultimo Canio ne I pagliacci
Festival Internazionale Scaligero Maria Callas, 2017
Maria Callas, Gianfranco Cecchele 

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