Prima di venire lapidata inizio con una confessione. Ho seguito con estrema attenzione la prima serie di O.C. (lunedì, ore 21, Italia Uno). Per motivi vari mi sono persa quasi tutta la seconda. Ho iniziato a vedere la terza, al suo debutto.
Questa rubrica tratta di donne&televisione, non mi è quindi consentito – purtroppo – scrivere dei personaggi maschili, che, pure hanno le battute migliori (Seth) e le sopracciglia più folte (Sandy, suo padre, indimenticato interprete di “Sex, lies and videotapes”).
Le donne ai blocchi di partenza sono le quattro “storiche”, ovvero le due madri Christel e Julie, e le due ragazze Summer e Marissa.
Quando mi metto davanti alla televisione per vedere un prodotto destinato ai teenagers, la prima domanda alla quale cerco risposta è: “Che tipo di messaggio vogliono veicolare gli autori?”. La seconda: “I personaggi costituiscono un modello positivo per i giovani, o c’è, invece, qualcosa di fuorviante nella loro struttura, nei loro dialoghi, nel loro agire?”.
Con O.C. non ho dovuto districare grovigli etico-estetici particolarmente faticosi.
Christel, madre di Seth e madre adottiva di Ryan, è lo stereotipo elementare della signora dei quartieri alti con un Edipo extra large che la “costringe” a cercare rifugio in una dipendenza (nel caso specifico l’alcool), nonostante il marito praticamente perfetto e la figlia ad un tasso di disturbi adolescenziali nella norma di questo periodo storico (anche solo vent’anni fa sarebbe stata impacchettata e spedita dall’analista o in un collegio particolarmente tosto, o da tutti e due, ma questo è un altro discorso).
Christel dovrebbe, presumibilmente, nel pio desiderio degli autori, essere un personaggio tutto luci ed ombre e pieno di sfaccettature. Brava madre, moglie un po’ molto freddino (algida!, diciamocelo, con un uomo così una meno nevrotica starebbe di più a casa e darebbe meno importanza al paparino con l’ego ipertrofico!), eccellente business woman, ma con qualche ombra, qualche fragilità a renderla più umana. Forse per farle perdonare dal pubblico medio la villona con piscinona e le troppe borse di Chanel.
In realtà è solo ovvia. E se, nelle prossime puntate, avrà anche una tentazione lesbo saremo davvero all’apoteosi del dejà vu d’oltre oceano. Dove, se due donne non si baciano in bocca almeno in una puntata (serie, soap o fiction che sia) sono out come le spalline imbottite. Insomma: una fashion victim catodica da non prendere come esempio, ma neppure sul serio…
Più divertente mi pare la “perfida” Julie Cooper, madre di Marissa, che sembra ricalcata sulla madre di tutte le “perfide” del piccolo schermo, ovvero l’indimenticata Alexis Carrington, di Dynasty, che probabilmente molti ammiratori di O.C. si sono persi per ragioni anagrafiche (imperversava, impersonata dalla mitica Joan Collins agli inizi degli Anni Ottanta…preistoria!). Julie è la classica “bitch” (cagna, nell’accezione di donna davvero pessima) tutta d’un pezzo. Manipolatrice d’alto bordo scarica il marito nullafacente e molto perdente per sposare il padre della succitata Christel, uno squalone con tantissimi zeri e pochissimo cuore; poi, divenuta vedova in tempi televisivi (quindi rapidi), si riaccolla l’ex-amarito e continua a pasticciare nella vita della figlia con l’unica aspirazione di brillare in società e infilare la perfetta manicure nei fantastilioni del defunto. Priva d’anima è uno zombie in tacchi a spillo. Non c’è rischio d’identificazione, perché nessuna spettatrice può (o vuole) sentirsi la versione pop della Matrigna di Biancaneve, e diverte nella sua sconfinata brama di accumulo coniugata ad una goffaggine alla Gatto Silvestro.
Marissa. Qui iniziano le dolenti note e sono praticamente certa di tirarmi addosso una (peraltro consueta) valanga d’insulti. Melissa è un vera lagna. In nessun modo (se non quando spara al fratello del fidanzato per difenderlo) è l’alter ego dell’eroe della serie, ovvero Ryan, suo ragazzo proveniente dalla parte “sbagliata” della città, ma con muscoli e cuore ugualmente tonici. Lei ha tutte le storture di una ragazzina dei quartieri alti viziata (egocentrica, egoista, con una visione limitatissima del mondo, a Milano direbbero “malmostosa”, ovvero stitica di sorrisi e con la gioia di vivere di un lemure anoressico). Viene voglia di scuoterla, cacciarle un giornale in mano, bruciarle la carta di credito e sbatterla a fare volontariato serio, anziché soft-sex con il ragazzo povero. Parla per frasi fatte, non ha mai una sola idea originale (a meno che non si consideri originale quella di assecondare la tempesta ormonale ingeneratale dall’arrivo di Ryan che, oltre ad essere tosto e generoso, assomigli anche ad un Russel Crowe di primo pelo, quindi buttalo via!) e più che vivere la propria adolescenza sembra subirla, senza una vera partecipazione. Probabilmente piacerà a molte. Soprattutto perché e alta, magra, veste divinamente bene, cambia un numero imprecisato di borsette e non da mai l’impressione che la vita possa essere una cosa seria. Neanche quando la travolgono autentici tsunami emotivi. Un po’ poco, davvero, per eleggerla ad icona.
Molto meglio, allora, a mio sommesso ma radicato avviso, l’amica del cuore Summer, che dichiara senza perifrasi di sapere far bene solo due cose: lo shopping e abbronzarsi. In compenso, però, ha slanci di generosità, attenzioni del cuore e iniziative che ne fanno, molto più di Marissa, un personaggio positivo. Certo non ha la più pallida idea di chi sia Proust, e forse nemmeno Condoleeza Rice, vive in un mondo plastificato, ovattato e dipinto a vinile con i colori dell’arcobaleno, ma, ciononostante è una persona. Lei e Ryan in qualche modo si assomigliano. Hanno l’istinto dei gatti di strada e non sono omologati. Ma, purtroppo, nelle fictions come nella vita, capita molto, molto spesso che gli opposti si attraggano e s’incastrino in rapporti nevrotici devastanti.
Io tifo perché Marissa vada in africa con Medici Senza Frontiere e Summer e Ryan partano su di una Harley verso un radioso futuro lontanissimi da O.C. Ma temo che il mio resterà solo un sogno.
Questa rubrica tratta di donne&televisione, non mi è quindi consentito – purtroppo – scrivere dei personaggi maschili, che, pure hanno le battute migliori (Seth) e le sopracciglia più folte (Sandy, suo padre, indimenticato interprete di “Sex, lies and videotapes”).
Le donne ai blocchi di partenza sono le quattro “storiche”, ovvero le due madri Christel e Julie, e le due ragazze Summer e Marissa.
Quando mi metto davanti alla televisione per vedere un prodotto destinato ai teenagers, la prima domanda alla quale cerco risposta è: “Che tipo di messaggio vogliono veicolare gli autori?”. La seconda: “I personaggi costituiscono un modello positivo per i giovani, o c’è, invece, qualcosa di fuorviante nella loro struttura, nei loro dialoghi, nel loro agire?”.
Con O.C. non ho dovuto districare grovigli etico-estetici particolarmente faticosi.
Christel, madre di Seth e madre adottiva di Ryan, è lo stereotipo elementare della signora dei quartieri alti con un Edipo extra large che la “costringe” a cercare rifugio in una dipendenza (nel caso specifico l’alcool), nonostante il marito praticamente perfetto e la figlia ad un tasso di disturbi adolescenziali nella norma di questo periodo storico (anche solo vent’anni fa sarebbe stata impacchettata e spedita dall’analista o in un collegio particolarmente tosto, o da tutti e due, ma questo è un altro discorso).
Christel dovrebbe, presumibilmente, nel pio desiderio degli autori, essere un personaggio tutto luci ed ombre e pieno di sfaccettature. Brava madre, moglie un po’ molto freddino (algida!, diciamocelo, con un uomo così una meno nevrotica starebbe di più a casa e darebbe meno importanza al paparino con l’ego ipertrofico!), eccellente business woman, ma con qualche ombra, qualche fragilità a renderla più umana. Forse per farle perdonare dal pubblico medio la villona con piscinona e le troppe borse di Chanel.
In realtà è solo ovvia. E se, nelle prossime puntate, avrà anche una tentazione lesbo saremo davvero all’apoteosi del dejà vu d’oltre oceano. Dove, se due donne non si baciano in bocca almeno in una puntata (serie, soap o fiction che sia) sono out come le spalline imbottite. Insomma: una fashion victim catodica da non prendere come esempio, ma neppure sul serio…
Più divertente mi pare la “perfida” Julie Cooper, madre di Marissa, che sembra ricalcata sulla madre di tutte le “perfide” del piccolo schermo, ovvero l’indimenticata Alexis Carrington, di Dynasty, che probabilmente molti ammiratori di O.C. si sono persi per ragioni anagrafiche (imperversava, impersonata dalla mitica Joan Collins agli inizi degli Anni Ottanta…preistoria!). Julie è la classica “bitch” (cagna, nell’accezione di donna davvero pessima) tutta d’un pezzo. Manipolatrice d’alto bordo scarica il marito nullafacente e molto perdente per sposare il padre della succitata Christel, uno squalone con tantissimi zeri e pochissimo cuore; poi, divenuta vedova in tempi televisivi (quindi rapidi), si riaccolla l’ex-amarito e continua a pasticciare nella vita della figlia con l’unica aspirazione di brillare in società e infilare la perfetta manicure nei fantastilioni del defunto. Priva d’anima è uno zombie in tacchi a spillo. Non c’è rischio d’identificazione, perché nessuna spettatrice può (o vuole) sentirsi la versione pop della Matrigna di Biancaneve, e diverte nella sua sconfinata brama di accumulo coniugata ad una goffaggine alla Gatto Silvestro.
Marissa. Qui iniziano le dolenti note e sono praticamente certa di tirarmi addosso una (peraltro consueta) valanga d’insulti. Melissa è un vera lagna. In nessun modo (se non quando spara al fratello del fidanzato per difenderlo) è l’alter ego dell’eroe della serie, ovvero Ryan, suo ragazzo proveniente dalla parte “sbagliata” della città, ma con muscoli e cuore ugualmente tonici. Lei ha tutte le storture di una ragazzina dei quartieri alti viziata (egocentrica, egoista, con una visione limitatissima del mondo, a Milano direbbero “malmostosa”, ovvero stitica di sorrisi e con la gioia di vivere di un lemure anoressico). Viene voglia di scuoterla, cacciarle un giornale in mano, bruciarle la carta di credito e sbatterla a fare volontariato serio, anziché soft-sex con il ragazzo povero. Parla per frasi fatte, non ha mai una sola idea originale (a meno che non si consideri originale quella di assecondare la tempesta ormonale ingeneratale dall’arrivo di Ryan che, oltre ad essere tosto e generoso, assomigli anche ad un Russel Crowe di primo pelo, quindi buttalo via!) e più che vivere la propria adolescenza sembra subirla, senza una vera partecipazione. Probabilmente piacerà a molte. Soprattutto perché e alta, magra, veste divinamente bene, cambia un numero imprecisato di borsette e non da mai l’impressione che la vita possa essere una cosa seria. Neanche quando la travolgono autentici tsunami emotivi. Un po’ poco, davvero, per eleggerla ad icona.
Molto meglio, allora, a mio sommesso ma radicato avviso, l’amica del cuore Summer, che dichiara senza perifrasi di sapere far bene solo due cose: lo shopping e abbronzarsi. In compenso, però, ha slanci di generosità, attenzioni del cuore e iniziative che ne fanno, molto più di Marissa, un personaggio positivo. Certo non ha la più pallida idea di chi sia Proust, e forse nemmeno Condoleeza Rice, vive in un mondo plastificato, ovattato e dipinto a vinile con i colori dell’arcobaleno, ma, ciononostante è una persona. Lei e Ryan in qualche modo si assomigliano. Hanno l’istinto dei gatti di strada e non sono omologati. Ma, purtroppo, nelle fictions come nella vita, capita molto, molto spesso che gli opposti si attraggano e s’incastrino in rapporti nevrotici devastanti.
Io tifo perché Marissa vada in africa con Medici Senza Frontiere e Summer e Ryan partano su di una Harley verso un radioso futuro lontanissimi da O.C. Ma temo che il mio resterà solo un sogno.