Teatro

Attese d'apertura

Attese d'apertura

Quante volte nella città distratta, e non solo in questa città distratta, abbiamo abitato, per accidente, una tranche di vita altrui, intercettando, nello spazio sano ma liquido riservato ad un’attesa, un frammento d’esistenza che non ci apparteneva, diventando, nostro malgrado, testimoni curiosi di un’intuizione non elaborata, spie involontarie, sebbene mai pentite, di discorsi interrotti, congedi dolorosi e promesse intrecciate al freddo neon dell’underground.

E così, proprio a Napoli, città che ha fatto della teatralità ora una virtù, ora una necessità, lì dove l’attesa sembra, talora, un paradosso cinico più che un destino di artistiche promesse, in occasione della terza edizione del Teatro Festival Italia, grazie all’esperienza del Direttore Renato Quaglia e dello scrittore Mario Fortunato, avrà luogo, a partire dall’8 giugno, il progetto drammaturgico “L’Attesa”, esperienza assolutamente originale nel panorama artistico contemporaneo in quanto finalizzata a creare un’osmosi singolare tra vita e finzione, mondo rappresentato e mondo della rappresentazione; infatti dieci noti autori italiani, diversi tra loro sia per ragioni generazionali che per motivi squisitamente stilistici, si sono impegnati nella stesura di altrettanti corti teatrali, storie minime ma intense, che, affidati all’esplosiva creatività di giovani e brillanti compagnie napoletane, si animeranno, in diversi momenti della giornata, in luoghi decisamente insoliti per il teatro, quali supermercati, uffici postali, banche, stazioni della metropolitana e vagoni della funicolare, giocando al confine tra performance ed indagine sociologica, diversa idea del teatro e teatro che intende seguire una traccia diversa.
Ovviamente, non sarà possibile sapere l’orario delle singole performances poiché, se si vuole dar senso pregnante all’operazione in questione, è necessario che lo spettatore non sappia di essere spettatore e che l’attore non sia percepito come un attore; alcune panchine-installazione, disegnate dagli studenti della Facoltà di Architettura, segnaleranno i luoghi in cui è stata prevista un’attesa.
Le compagnie campane coinvolte nell’impresa hanno tradotto/tradito i testi scritti per l’occasione dai vari autori, un tradimento inevitabile, evidentemente, trattandosi di lavori in cui la scena è costituita da uno spazio privo di qualsiasi determinazione scenica, lavori che, definendosi come teatro atto a rappresentare una particolare condizione esistenziale, si realizzano nella loro completa immersione della calda vita di tutti i giorni, grazie al potenziale polimorfismo artistico che permette al progetto, di rappresentazione in rappresentazione, di risemantizzarsi come progetto corale, sempre disponibile alle più disparate ed imponderabili suggestioni esterne.

La regista Sara Sole Notarbartolo, da sempre impegnata, con i suoi attori di Taverna Est, a portare con successo il teatro lì dove, per consuetudine, il teatro sembra non avere spazio, si è confrontata con i testi “In una banca” di Andrea De Carlo e “L’innocenza dei postini” di Paolo di Paolo e, in entrambe le circostanze, ha fissato, come obiettivo peculiare del suo cimento, la possibilità di favorire una rivoluzione poetica nella vita delle persone.

Nicola Lieta, invece, regista particolarmente sensibile alle tecniche sperimentate dal Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal, ha ritenuto opportuno avvicinare i testi della giovanissima Pulsatilla e di Elisabetta Rasy, rispettivamente “Circolare” e “Souvenir”, interpretando il primo come occasione per una vivace provocazione metropolitana e il secondo come momento in cui definire un rituale di crescita e di passaggio all’interno delle costellazioni familiari.

Poi, abbiamo Giorgia Palombi, regista del gruppo Maniphesta Teatro, la cui lettura di “Assenti” di Ivan Cotroneo e di “Gloria della notte” di Dacia Maraini, parte da un presupposto certamente accattivante, cioè che a Napoli è molto difficile fare qualcosa di strano, pertanto i suoi attori, per cogliere appieno la dimensione anfibola di questo progetto drammaturgico, si sono prefissi di lavorare come se fossero sospesi, metaforicamente, su un cornicione molto sottile, una sorta di terra di mezzo: dietro la realtà ed avanti lo spazio della finzione, quello della teatralità.

Daniele Russo, attore e regista legato per tradizione familiare alla storia del teatro napoletano, fidando su un gruppo di giovani attori del Teatro Bellini, ha curato la messinscena – atipica, ovviamente, dacché manca la scena – di “Grandi Speranze” di Sandra Petrignani e di “La settimana prossima” di Milena Agus e, in entrambi i casi, il suo obiettivo dichiarato è stato fare leva sulle possibili tensioni relazionali che potrebbero svilupparsi a partire da esperienze di drammatizzazione siffatte, spingendo gli attori ad essere quanto più possibile non teatrali, perfettamente mimetizzati tra la folla.
Infine, abbiamo i registi Anna Gesualdi e Giovanni Trono, fondatori del gruppo Teatringestazione, impegnati da anni nell’eccezionale lavoro condotto con la Compagnia dei detenuti dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa, che, in questa circostanza, misurandosi con “Petru” di Maria Pace Ottieni, con “L’attesa” di Giovanni Consolo e con una suggestione originata da “Assenti” di Ivan Cotroneo, hanno ritenuto estremamente stimolante lavorare non tanto sulla teatralità dei corti, quanto sul teatro inteso come luogo da abitare e come luogo in cui portare azioni assolutamente non teatrali.

Tutti i corti teatrali che vivranno in questi giorni nei luoghi d’attesa di Napoli, si apprestano a vivere, inoltre, anche in un libro, “L’Attesa” appunto, curato da Mario Fortunato ed edito da Bompiani, presto distribuito in tutte le librerie, e vivranno, altresì, come brevi radiodrammi, mandati in onda, nei prossimi giorni, da Radio3 RAI; “L’Attesa” sarà, per giunta, oggetto di studio per un gruppo di laureandi della Facoltà di Sociologia dell’Università “Federico II” di Napoli.

Ed adesso, strano a dirsi, ma godiamoci l’attesa!