Teatro

DOCUMENTO ESCLUSIVO: La storia del Teatro di Caldarola (MC)

DOCUMENTO ESCLUSIVO: La storia del Teatro di Caldarola (MC)

Siamo lieti di presentarvi un documento esclusivo: l'interessante ricostruzione della storia del Teatro di Caldarola (MC) effettuata con cura da Eno Santecchia (autore e proprietario anche delle foto), che ringraziamo per averci concesso la pubblicazione. Un documento che testimonia come nella nostra bella Italia, ci sono angoli ricchi avvenimenti ed episodi storici come non potremmo immaginare.

Agli inizi del XVI secolo la sede ove si riunivano periodicamente i notabili del Comune di Caldarola (MC) si trovava all’interno del castello Pallotta (vicino alla foresteria dell’attuale convento delle monache agostiniane di Santa Caterina).
Il cardinale Evangelista Pallotta (1548 - 1620), stretto collaboratore di Papa Sisto V e Prefetto della Fabbrica di San Pietro, ridisegnò tutta la struttura urbana di Caldarola, allineando ortogonalmente le vie e costruendo numerosi edifici. Verso la fine del Cinquecento l’alto prelato fece costruire il palazzo dell’attuale teatro per trasferirvi la sede comunale e la residenza del podestà. La donazione del palazzo al comune avvenne il 30 novembre 1599, nel successivo 23 gennaio 1600 la municipalità prese possesso della nuova sede.

La Sala Regia del Teatro CaldarolaL’edificio si trova in via Pallotta all’angolo con via Durante, di fianco all’attuale palazzo delle Associazioni (ex Seminario) e a pochi metri dal palazzo di Giuseppe Vanni (1763-1808), discendente da una famiglia nobile fu protagonista dell’insorgenza antifrancese del 1799. Risulta che Giuseppe Vanni il 16 dicembre del 1786 facesse parte dei quattro deputati “per le commedie”. Essi avevano anche il compito di controllare l’accesso, per evitare l’ingresso al palchettone delle persone “fuori del ceto civile”. Particolare curioso: in città nulla ricorda Vanni, senza dubbio più conosciuto altrove!

In una grande stanza dell’edificio comunale vi fu costruito un palchetto di legno chiamato teatro di corte, esso era riservato ai soli cittadini del Consiglio e non vi erano scenari. Passata la bufera delle ribellioni antifrancesi e non ancora tramontata la meteora napoleonica, nel 1807 si pensò di rinnovare ed ampliare questo palchettone (che fece seguito al teatro di corte o di palazzo), formato da tre ordini distinti di posti.

Nel consiglio comunale di giovedì 5 giugno 1823 i deputati Mariano Grifi ed Umile Gentilucci presentarono un progetto per la costruzione di palchetti e la ristrutturazione del teatro per un importo che alla fine ammontò a 317 scudi.
Dei ventidue palchetti (più 4 finestre), uno rimase di proprietà del Comune, due, ogni anno, erano riservati alla famiglia Pallotta e gli altri sorteggiati tra le famiglie caldarolesi.

Ultimati i lavori, il teatro fu riaperto in occasione del Carnevale del 1830; di tanto in tanto fu utilizzato anche per la festa del patrono San Martino.
Carlo Mori e Domenico Grifi, membri della Congregazione Teatrale, si occuparono di stilare il regolamento che entrò in vigore nel 1837. Nel medesimo anno il Comune ne rese pubblico l’accesso. Come in altri teatri non vi erano sedie.

Interno Balconate

Mentre nel resto dell’Europa le compagnie teatrali girovaghe andarono via via scomparendo, in Italia opereranno ben oltre la metà dell’Ottocento. Le compagnie minori si esibivano nei teatri più piccoli o direttamente nelle piazze dei paesi. I comici si specializzavano in un singolo personaggio, il cartellone cambiava spesso, l’improvvisazione era necessaria e per i ruoli secondari si faceva ricorso a dilettanti del posto.
Nel 1859 il teatro, evidentemente sottoposto ad un discreto uso, ebbe bisogno del restauro degli scenari e della revisione del tetto.

Nel censimento dell’anno 1861, Caldarola contava 2.967 abitanti. In ambito nazionale le tasse aumentarono, la povera gente emigrò per rifarsi una vita migliore. A Caldarola, sia pur di poco, invece la popolazione aumentò. Le condizioni socio-economiche andarono decisamente migliorando, anche grazie alla fiorente attività conciaria che utilizzava l’acqua del Rio. Nacquero diverse famiglie benestanti, fra le quali i Gentilucci, i Casini, ecc.

Nel frattempo si rappresentavano le commedie di Carlo Goldoni e le tragedie di Vittorio Alfieri. Anche il sistema di gestione teatrale si andava rinnovando: le compagnie si facevano conoscere meglio, ampliavano il loro raggio d’azione e le trattative si svolgevano tramite agenzie.
Intorno al 1870 nacque la Società Filodrammatica caldarolese composta da persone del luogo. Il teatro divenne sempre più luogo d’attrazione della vita culturale, ricreativa, politica e civile, anche dei dintorni.

Il 20 settembre 1870 i bersaglieri italiani entrarono a Roma, attraverso la breccia di Porta Pia, finì così il potere temporale del Papa. Anche a Caldarola accadde qualcosa d’interessante. Già nel 1838 l’ing. Claudi Giuseppe aveva redatto una perizia di valutazione del Palazzo Pallotta sito in piazza Grande. Nel 1870 si riunì una commissione per valutare l’offerta di vendita del palazzo fatta dal Conte Paride Pallotta. Dopo aver vagliato la proposta, la commissione decise l’acquisto del palazzo per farne la sede comunale, il costo fu di lire 36.102,90. L’Amministrazione municipale si spostò. Alcuni locali dell’ex palazzo del Podestà furono utilizzati, per circa tre decenni, come sede di scuole pubbliche e della Pretura.

Nell’aprile del 1872 le infiltrazioni d’acqua danneggiarono gravemente la volta del teatro tanto da farlo rimanere chiuso per più di due anni. Nel 1878 fu riparato anche nella facciata. Nel 1887 un decreto della Sottoprefettura di Camerino lo fece chiudere perché, essendo costruito in legno, non era più in regola con le norme unitarie del Regno.

Interno Soffitto

Negli ultimi decenni dell’Ottocento anche i gusti del pubblico cambiarono: stanco delle espressioni drammatiche e dell’enfasi sentimentale alquanto improbabili nella vita di tutti i giorni, iniziò a pretendere la rappresentazione della realtà quotidiana fatta anche di piccoli problemi e soddisfazioni. In questo nuovo tipo di rappresentazione lo spettatore medio riusciva meglio a riconoscere se stesso e le sue aspirazioni. Il naturalismo, giunto dalla Francia, s’impose anche in Italia.

Tra le poche novità nell’ambito teatrale per tutto l’Ottocento, vi fu l’introduzione dell’illuminazione a gas al posto della precedente a candele e ad olio. Nel 1881 il Savoy Theatre di Londra fu illuminato con l’energia elettrica, ma bisognerà aspettare il primo ventennio del Novecento per la sostituzione dei vecchi impianti. Lo stesso dicasi per gli apparati idraulici che, in poco tempo, sono in grado di cambiare intere scene. Mentre prima tutto era lasciato all’improvvisazione, ora interi ambienti sono ricostruiti sui palcoscenici più importanti, nel pieno rispetto della realtà storica. Tutto questo richiede la collaborazione di architetti, scenografi, costumisti, musicisti, tecnici e macchinisti. Ovviamente i costi aumentano sensibilmente.

Nel novembre del 1895 un gruppo di benestanti caldarolesi, tra i quali i signori Amici, Maraviglia e Grifi, si riunì per decidere come dare al paese un nuovo teatro più decoroso, capiente e sicuro. Nel 1901 fu costituito il “Condominio teatrale”. Il Consiglio Comunale del 15 giugno 1901, presieduto dal sindaco dr. Ernesto Grifi, deliberò di allargare e migliorare il teatro, che, pur restando di proprietà municipale, fu concesso in uso al Condominio.

L’ultima rappresentazione nel vecchio teatro si tenne domenica 22 giugno 1902 con l’applauditissimo dramma in 5 atti di Giacometti “La morte civile”. Alle ore 19,30 di lunedì 18 agosto 1902, con una cerimonia alla quale partecipò anche la banda musicale, i caldarolesi diedero l’addio con grande entusiasmo e senza rimpianti al vecchio teatro. Antonio Buscalferri fu un notevole personaggio per il paese: maestro elementare, decano dei filodrammatici e sergente garibaldino veterano delle battaglie di Bezzecca e Mentana. Dopo il suo discorso e il brindisi, iniziò la demolizione. Il teatro di legno non doveva essere davvero in buone condizioni se il Buscalferri lo definì più volte malridotto, sconnesso, tarlato, ecc.

Per il nuovo teatro fu adottato il progetto dell’ingegner Filippo Amici. I lavori si protrassero per quattro anni e si cercò di accordare le notevoli aspettative e la modesta disponibilità dei fondi. La sala teatrale fu realizzata nella massima ampiezza concessa dalle dimensioni dello stabile; la capienza totale fu di 336 persone (massimo 500). Sabato 1° dicembre del 1906 ebbe luogo l’inaugurazione. La spesa totale si aggirò intorno alle 12.000 lire. Il teatro ha una pianta a ferro di cavallo, due ordini di palchi e un loggione a galleria. I palchi di proscenio sono separati da due paraste con capitelli corinzi. Stucchi bianchi e oro decorano i parapetti dei palchi e del loggione.

Vi erano quattro bellissimi scenari ad apertura verticale pitturati ad olio su tela: il giardino dei cigni, la sala règia (dai dominanti colori azzurro, bianco e argento), una cucina rustica e la piazza di Caldarola. Il soffitto affrescato dal pittore e scenografo Galassi di Fermo rappresentava le muse: il dramma, la musica, la tragedia e la danza. La platea aveva panche di legno (solo in seguito ebbe delle vere poltrone) e i locali non erano ancora riscaldati.

Domenica 12 luglio 1908 alle ore 17,00, nel nuovo teatro, gremito di persone si tenne la conferenza dell’On. Lamberto Antolisei di Macerata sull’inaugurazione della targa commemorativa di marmo e bronzo in onore di Giuseppe Garibaldi, posta su una colonna del Palazzo Pallotta. Il progettista del teatro ing. F. Amici, fu eletto presidente del comitato promotore della lapide, mentre il maestro A. Buscalferri aveva le funzioni di vice presidente.

Stemma dei Pallottola

Pochi giorni prima che Giovanni Giolitti decidesse di inviare un corpo di spedizione a Tripoli (Libia), dando così inizio alla guerra italo-turca, la vita civile e culturale caldarolese visse un altro avvenimento degno di nota. Nella splendida giornata di domenica 3 settembre del 1911 ebbe luogo l’inaugurazione della lapide dedicata a Giordano Bruno allora posta su una colonna del Palazzo Pallotta. Alla cerimonia parteciparono numerosi liberi pensatori. Non mancarono critiche da parte della Chiesa.

Nonostante le immancabili guerre, il cinema (la nuova arte) stava affascinando il mondo. Già nel giugno del 1919 nel teatro caldarolese furono proiettate delle pellicole mute. La più applaudita fu “Il figlio del garibaldino”. Il nuovo teatro, giustamente molto apprezzato, fu utilizzato anche come sala per le conferenze, da ballo e, dal marzo del 1923, come teatrino lirico.

Dal 1935 il dopolavoro iniziò ad occuparsi delle proiezioni con la pellicola “Il Conte di Montecristo” (U.S.A. 1934, regia di Rowland V. Lee). Con lo scoppio dell’ultima guerra mondiale, il tecnico fu richiamato alle armi e il sig. Alfio Ciccotti, dopo aver superato l’esame di macchinista, continuò l’opera del precedente. Il compenso per il pomeriggio e la serata era allora di sole due lire. La collaborazione del sig. Alfio durerà 70 anni (fino al 2005). Questo personaggio caratteristico di Caldarola scomparirà l’8 aprile del 2006.
Dopo le sofferenze e i lutti della guerra e la riacquistata libertà ritornò la voglia di divertirsi, di riunirsi e di socializzare. Così nel teatro negli anni ’50 e ’60 si tennero numerosi veglioni organizzati dalle società Operaia, Sportiva, dalla Croce Rossa, dai partiti, dalle associazioni e dai privati.

Nel dopoguerra la Pro Loco seguitò le proiezioni per pochi anni, poi il teatro fu ceduto in affitto ai sig.ri Alfio Ciccotti, Massimo Pugnaloni e Goffredo Andreani.
Nel 1953 l’Amministrazione Comunale rimborsò i Condomini e fece completamente suo il teatro. Dal 1954 l’avvento della televisione, dapprima nei locali pubblici e poi nelle case, mise in crisi il teatro (molte sale storiche furono chiuse) e le piccole sale cinematografiche.

Nel 1980 crollò una parte del soffitto danneggiando il grande affresco che raffigurava le muse. Dopo il crollo, gli scenari in tela, lasciati all’aperto, si rovinarono a causa delle intemperie. Nel 1981 l’Amministrazione Comunale decise di restaurare il vecchio teatro.

Terminati i lavori di ristrutturazione dell’edificio teatrale, si passò al restauro degli interni. L’Amministrazione Buscalferri scelse per la volta il bozzetto del prof. Guido Bruzzesi di Macerata, che rappresentava le quattro stagioni.
Guido Bruzzesi nacque a Macerata il 10 giugno 1938, dapprima insegnante di disegno alle Scuole Medie, poi passò all’Accademia delle Belle Arti dell’Aquila e quindi a quella di Macerata, dove teneva il corso speciale di restauro. Era uno studioso e un ricercatore delle tecniche pittoriche di una volta; macinava le terre e univa i collanti per ricreare antichi colori. Amava Cennino Cennini, scrittore d’arte e pittore medioevale che ha lasciato il “Libro d’arte” (1398), un trattato riguardante gli aspetti tecnici e ideologici della pittura del ’300. Era ammiratore del pittore veneto Carlo Crivelli. Bruzzesi gradiva che nelle sue opere, oltre al contenuto, fossero apprezzate anche le tecniche d’esecuzione. Aveva studiato la “Teoria di una nuvola” trattato sulla raffigurazione delle nuvole e si era specializzato nella branca, tanto che molte delle sue opere hanno come sfondo le nuvole, sì da essere conosciuto come il pittore “dei cieli”.

Chiamato dal Comune di Caldarola per il rifacimento della parte pittorica e degli stucchi del teatro, portò con sé i suoi cinque più bravi allievi (tra cui l’attuale grafico e designer giapponese Hideaki Kawano) per insegnare loro le tecniche pittoriche e di doratura. I lavori, iniziati durante il periodo invernale del 1984, furono ultimati nella primavera successiva con un impegno complessivo di circa 45 giorni.

Il prof. Bruzzesi dipingeva e sovrintendeva. Si trovò, ovviamente, ad operare con le difficoltà derivanti dall’altezza e dalla scomodità dell’esecuzione pittorica della volta teatrale. Dovette curare anche l’effetto prospettico e delle proporzioni affinché lo spettatore potesse ammirare l’immagine della volta nella maniera più realistica possibile. Dietro le immagini, raffiguranti i quattro periodi dell’anno, fanno da cornice le nostre dolci colline ed in alto il cielo.

Guido Bruzzesi aveva l’ambizione di trasformare il suo studio in una “bottega d’arte rinascimentale”, progetto che non andò in porto per la sua prematura e improvvisa scomparsa avvenuta il 5 giugno 1985, all’età di soli 48 anni. Il suo profondo amore per l’arte è stato tramandato alla figlia Barbara, appassionata decoratrice.

Dieci anni più tardi Bill Gates, per il suo sistema operativo Microsoft Windows 95, scelse un cielo con nuvole come desktop; un motivo molto caro al nostro Guido comparve sui personal computer di tutto il mondo.

Copyright © 2006 Eno Santecchia
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