Teatro

FUS e teatro: lettera aperta

FUS e teatro: lettera aperta

"Grazie ad Alessandro Baricco che con la sua provocazione inaspettata ha creato l'occasione per poter discutere su un tema che a me sta a cuore, e che finora ha avuto poco rilevanza mediatica.

Sono un Tecnico di palcoscenico 38enne, Roberto Ledda, "Arredatore di scena" o meglio in gergo teatrale Attrezzista, presso il Teatro Comunale di Bologna.

Diplomato in Scenografia, da ormai quasi 20 anni lavoro in teatro: sono passato dal teatro di ricerca a quello di prosa per poi approdare nella Lirica.

La mia, come per chiunque abbia intrapreso questo lavoro, è una vera passione: mi affascina molto la macchina teatrale che mette in moto tutti quei processi che portano al risultato finale di una messa in scena.

Colgo l'occasione per dire anche la mia opinione su quella che è stata la provocazione di Baricco, ma prima vorrei ricordare che il teatro è composto anche da noi Tecnici, che non siamo un' "OMBRA", ma persone che amano questo lavoro e lo svolgono con dedizione e passione e con alta professionalità. Purtroppo entriamo facilmente anche nella voce "sprechi" nel momento in cui tagli e revisione del sistema teatrale sovvenzionato dallo Stato sono all'ordine del giorno. Siamo tanti, troppi, con competenze quasi sconosciute e sicuramente, per quanto stipendiati come operai specializzati e nulla più, messi tutti insieme siamo costosi, almeno quanto qualche replica di un cantante molto noto o elementi scenografici fatti costruire per errore....

Ai "grandi vecchi" della cultura in genere, che rispetto e apprezzo per il loro valore intellettuale, volevo fare una critica, ricordando che anche loro hanno beneficiato dei finanziamenti statali producendo opere di grande valore culturale per il Paese, cosa che ha aumentato il loro lustro personale e la popolarità di cui tuttora godono. Da questi intellettuali mi sarei aspettato interventi meno sterilmente critici ma una serie di proposte o iniziative comuni per far fronte al problema e per cercare un confronto con le istituzioni, visto che sono loro che fanno cultura e teoricamente, sono molto più addentro al sistema-teatro.

Mi chiedo: se il problema si avvertiva da tempo, perché questi personaggi che gridano "cambiamento!" non sono intervenuti per tempo con la stessa enfasi con cui si esprimono in questi giorni sui giornali?

Adesso che la crisi è profonda le cose devono cambiare, sono d'accordo, ma un passo per volta: non penso che stravolgendo nell'immediato il sistema dei finanziamenti crei un mercato privato che possa risolvere le condizioni di difficoltà che molti teatri e la cultura in genere sta vivendo, anzi.

Il Teatro privato, in Italia, esiste da sempre e in questi ultimi anni sta vivendo un momento di grande prosperità: ovviamente stiamo parlando dei grandi musical, dei monologhi dei comici televisivi, degli one man show di personaggi attualmente popolari e delle esibizioni degli amici di Maria. Per tutti quelli che tentano di mettere in scena con le proprie sole forze Shakespeare o Goldoni (ma anche il più lieve Coward), non tira una buona aria.

Baricco sostiene di spostare i soldi alla TV pubblica per promuovere iniziative culturali senza dover tenere conto degli ascolti, ma penso che la tv pubblica sia già ben sovvenzionata dal canone RAI, dagli sponsor pubblicitari e dai contribuenti: il problema quindi non sta nel reperire i fondi, quanto nell'organizzare un palinsesto di stampo culturale. E chi lo organizza? Le stesse persone che, espressione della classe politica che dirige il Paese, si trovano ai vertici della tv pubblica...anziché del teatro pubblico, cosa che potrebbe tranquillamente accadere.

Che ci vorrebbe una adeguata e innovativa programmazione di informazione, e intrattenimento siamo tutti d'accordo: cosa si sta aspettando? Certamente non il denaro, visto che quello televisivo è l'unico settore a cui non fa difetto.

Non dimentichiamo, inoltre, dato che si parla di linguaggio "giovane" e alla portata di tutti, che Internet è e sarà il futuro, che forse un giorno sostituirà la TV o avrà comunque una diffusione e una fruizione di pari livello.

Vorrei ricordare che le Fondazioni teatrali sono state costituite per poter essere anche sovvenzionate dai privati, cosa che avviene da molti anni soprattutto da parte di importanti istituti bancari, ma come si è potuto constatare il sistema non ha funzionato innanzitutto per via delle mancate defiscalizzazioni, come avviene in qualunque altra parte del Mondo; vista la dèbacle americana recente, anche se le defiscalizzazioni venissero attuate a partire da questo istante non penso che ormai i privati da soli possano sostenere i costi di un Ente culturale. Il liberismo del mercato ha fallito la sua missione in quasi tutti i settori, e ancora più tragicamente in quello culturale, complice ma non causa primaria anche la recessione attuale.

Anche gli altri Paesi sovvenzionano, e molto, le attività culturali: si pensi all'America di Barack Obama, dove non mancano interventi dal mercato privato, ma dove è anche stato approvato in Senato un finanziamento per le attività culturali e artistiche. Un budget di 50 milioni di dollari sarà destinato alla National Endowment for the Arts (Nea), il Fondo per il finanziamento delle arti che sovvenziona organizzazioni artistiche a livello regionale perché collaborino con organizzazioni statali, al fine di identificare e offrire agli artisti un'ampia scelta di luoghi dove esibire i propri lavori, mentre in Italia si sentono dichiarazioni sconclusionate che mi fanno pensare e dire ancora una volta che è solo una piccola cerchia di intellettuali che cercano, nonostante il disagio che attraversa il Paese, a pensare ancora a i propri interessi.

L'impressione che si ha ora è che finché c'è stato modo di spartirsi l'abbondante torta del FUS (il famigerato Fondo Unico per lo Spettacolo), torta in cui tutti o quasi hanno almeno dato una ditata, nessuno si poneva il problema morale di fare un Teatro per pochi, per tanti, colto, insulso, sprecone, cervellotico, purché ci fossero le garanzie di guadagnarci tutti. Ora che l'imbuto si stringe partono le recriminazioni, i "l'ho sempre detto, io!", le questioni epocali, i falsi dilemmi ("vuoi che tuo figlio studi in un sistema scolastico adeguato guardando una tv culturale o che rimanga un asino mentre gli intellettuali miliardari vanno all'Opera?" Soluzione: i nostri figli non riceveranno un'istruzione adeguata, si consoleranno guardando tv spazzatura mentre mamma e papà, operatori teatrali, potranno serenamente reimpiegarsi in un call-center, dopo che la gestione privata del loro teatro avrà deciso di tagliare drasticamente l'organico tecnico amministrativo).

Nessuno, penso, intende contrastare il sostegno alla scuola, già tanto sacrificata, ma non si può contrapporla ricattatoriamente al teatro sovvenzionato dallo Stato come se questo fosse il buco nero che divora le risorse dei poveri studenti: questo crea uno stato confusionale e poco funzionale in questo periodo di crisi, e non fa altro che danneggiare l'immagine dell'Italia dove è nata la tradizione Teatrale che tutto il mondo ci invidia (e ci compra in moneta sonante, come ben sanno in Giappone, ad esempio, dove ospitano pagando molto bene le tourneé internazionali dei nostri ex Enti lirici).

Sono d'accordo sul fatto che bisogna cambiare il sistema, ma in questo sistema devono essere messe in luce quelle che sono le responsabilità della gestione artistico-amministrativa. Chi amministra deve essere ritenuto responsabile degli ammanchi, imponendogli di risponderne penalmente, se i buchi di bilancio sono ingiustificati.

E non sembrano ormai più giustificabili i cachet milionari degli artisti (registi e scenografi inclusi), gli stipendi altissimi dei quadri dirigenziali, spesso collocati là dove sono per coincidenza, fortuna o giuste conoscenze più che per peso curriculare, gli sprechi in fase di allestimento perché il progetto è stato dato in mano a un incompetente o a un umorale a cui nessuno sa dire di no.

Finora ho sentito solo dire, specialmente dalla classe dirigente teatrale, che la responsabilità dei deficit dei teatri sono le maestranze che aggravano i bilanci, ma penso che se si indagasse a fondo emergerebbe immediatamente come voce altrettanto importante la mala gestione. Da lì può ripartire la discussione sul teatro pubblico e gli sprechi, e sulle misure da prendere, sperando non sia troppo tardi.

Ciò che mi auspico è che prevalga il buon senso di chi si occuperà dei futuri cambiamenti che investiranno i nostri Teatri storici, e che le regole siano trasparenti per il rispetto dei lavoratori dello spettacolo e in particolar modo del pubblico."

Roberto Ledda


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