Teatro

Giorgia: Mi sento tentata dal teatro

Giorgia: Mi sento tentata dal teatro

La bizzarra e meritevole decisione di produrre una commedia è spiegata dalla cantante Giorgia, sempre a caccia di nuovi stimoli creativi e pronta a confessare un’autentica passione per il teatro senza però voler tradire la sua vocazione canora.

Lo spettacolo «Il trio si fa in quattro», presentato stasera alle 21 al FontanonEstate dalla compagnia formata da Danilo De Santis, Virginia Raffaele e Francesca Milani e diretta da Giovanni Zappalorto, può beneficiare quindi dell’importante contributo della sua immagine poiché Giorgia ha sentito l’esigenza di sostenere e promuovere l’impegno di questi giovani ben conoscendo le difficoltà incontrate dagli emergenti nel nostro Paese.

Un’avventura diversa per un’artista non contaminata dal successo e disposta a ricercare il senso più profondo dell’esistenza. Perché ha voluto cimentarsi con il ruolo di produttrice teatrale?
«In realtà mi sono piaciuti molto questi tre ragazzi che si scrivono tutto da soli e si mettono in gioco con le proprie forze. Apprezzo la loro capacità di esprimersi, di completarsi e di valorizzarsi a vicenda pur nella diversità, inoltre mi colpisce la loro consapevolezza della tradizione del teatro e del cinema italiano».

Che rapporto ha con il teatro?
«Ci vado abbastanza spesso poiché ho molti amici del liceo che sono diventati attori teatrali. Fin da ragazza ero affascinata dall’aspetto live della rappresentazione scenica che ricorda la forza del concerto dal vivo mentre il cinema somiglia di più a un disco. Spesso mi hanno proposto di recitare e soprattutto nell’ultimo anno ma non mi sento pronta. Il palco mi spaventa e prima di lanciarmi vorrei prepararmi».

Qual è stata l’esperienza più bella della sua carriera?
«Ho avuto molta fortuna. Il vertice massimo l’ho toccato con Herbie Hancock in una tournée fra Italia ed Europa. Cantavo standard e pezzi miei e il suo modo di lavorare sull’improvvisazione era davvero teatrale. Si scoprivano sempre cose nuove e questa è la giusta dimensione dell’arte. Bisogna approdare in luoghi dove non sei mai stato e lui mi ha insegnato che se non ti perdi non impari niente».

Cosa ama del suo lavoro?
«Il contatto con la gente e lo scambio continuo con chi mi ascolta. Voglio dedicarmi però solo alle occasioni che trasformano. Detesto infatti la comunicazione globalizzata che attualmente affligge e mortifica la musica, schiacciando l’ispirazione. Sto scrivendo brani nuovi senza le idee chiare sulla meta. Vorrei restituire quello che ho dentro. Uno strumento che mi sembra consono a me è la radio: puoi parlare liberamente valicando i limiti imposti dalla visione. La tv è viziata da un apparire che prevale sull’essere. Ritengo, invece, che lo scopo della vita sia conoscere se stessi, accettarsi e perdonarsi nel rispetto dell’essenza della nostra umanità che prescinde dal riconoscimento esterno».