Teatro

Il Teatro Verdi di Terni chiude la stagione con Otello

Il Teatro Verdi di Terni chiude la stagione con Otello

Sabato 27 marzo, alle 21, la chiusura della Stagione del Teatro Verdi di Terni è affidata al Balletto di Roma, che quest’anno festeggia il 50° della sua attività con Otello, coreografia di Fabrizio Monteverde.

Lo spettacolo replica domenica 28 marzo al Teatro Mancinelli di Orvieto, alle 17.30.

A distanza di quindici anni Monteverde ha scelto di tornare nuovamente a elaborare una coreo-drammaturgia su un tema shakespeariano, se possibile amplificando certe intuizioni precedenti: la triangolarità delle dinamiche emozionali, erotiche e psicologiche che converge su Otello; la sua estraneità ovvero l’essere un outsider (qualcuno che, quindi, non conosce e non sa, o vuole, applicare le regole e i rituali del luogo in cui si trova); ma anche approfondire certi aspetti finora poco rappresentati, come la figura di Cassio, inconsapevole causa della tragedia, fantoccio nelle mani di Jago, ma comunque conscio del proprio ascendente - su Desdemona, su Otello - per ottenere favori che si riveleranno fatali.

“Il gioco – dichiara Monteverde - è quello di svelare il sentimento che si cela dietro la ragione, ovvero, dato che mai come in Otello è la parola a scatenare gli eventi, a cercare di comprendere lo spazio bianco tra una parola e l’altra, ascoltando il riverbero dei suoni, percependone stonature o dolcezze, sincerità o menzogna. E quindi anche cercando di comprendere dove portano le pulsioni, l’eros, la passione, a quale persona, a quale destino.”

Ambientato il lavoro in un porto di mare dalle suggestioni fassbinderiane (ancora una volta il cinema torna ad arricchire di riferimenti il plot di Monteverde), scelto proprio a suggerire il continuo brulicare di persone provenienti da mondi diversi, che per un attimo intrecciano le loro storie e le loro passioni, senza remore e regole, i personaggi si muovono sulla musica appassionata, languida e sensuale di Antonín Dvorak.

E se talvolta l’enfasi musicale può sembrare eccessiva, al coreografo-regista serve per dare spazio anche all’altro suo peculiare tratto: allo sberleffo beffardo e amaro, a quell’ironico distacco che riposiziona l’ideale, lo slancio e l’estasi e riconduce tutto il brulicare inarrestabile e irrazionale delle passioni in una sorta di commedia delle parti, anzi in una “farsa sanguinaria”, come ahimè molto spesso anche le cronache continuano per altro tragicamente, asetticamente a registrare.