Nel gennaio 1947 si inaugura al Palazzo Reale di Milano la mostra “Arte astratta e concreta”, la prima dopo la fine della guerra, che presenta, tra gli altri, Kandinsky, stimolando il dibattito sull'astrattismo in opposizione ai realismi, largamente fortunati in Italia. Dopo gli anni Sessanta si riconsidera il grande russo per dimostrare i forti legami della sua pittura con l'arte astratta in Italia.
Il percorso inizia con la “Composizione VII” della Galleria Tret'jakov del 1913, esaltata dall'incasso di luce blu elettrico che la circonda, e dall'”Alpeggio ai margini del bosco” del 1902, come dire le due facce del pittore, l'astratto ed il concreto. “Composizione VII è la summa del pensiero e dell'arte di Kandinsky (scrive Vittorio Sgarbi nell'introduzione al catalogo), frutto com'è di anni di speculazione e di ricerca, ed è al contempo la matrice di tutto ciò che verrà. Questo dipinto monumentale, enigmatico, complesso, apparentemente caotico ma in realtà retto da un ferreo equilibrio interno di forme e colori, è un vero cardine nell'opera di Kandinsky, da cui non si può prescindere per ripercorrere il cammino dell'artista”. Poi gli anni del Bauhaus, dal 1922 al 1933, quando va in Germania, invitato ad insegnare da Walter Gropius, dopo avere abbandonato l'Unione Sovietica a causa degli attacchi degli artisti più giovani, fedeli all'ideologia marxista ed al dettato del costruttivismo, che rifiutavano il disimpegno politico e la netta impostazione spiritualista di Kandinsky.
Nel 1934 la galleria milanese “Il Milione” espone suoi acquerelli (due sono presenti oggi). Sono questi gli anni di Parigi, dal 1933 al 1944, una nuova stagione per la sua pittura, in cui sembra voler ripercorrere e sintetizzare i princìpi che lo avevano guidato lungo il percorso artistico: da un lato l'astrazione geometrica, dall'altro le forme libere e sinuose, quasi arabeschi capricciosi (splendido il “Blu cielo” del Centre Pompidou).
Il confronto con gli italiani inizia con futuristi ed astrattisti degli anni Trenta e Quaranta, Bruno Munari, Enrico Prampolini, il marchigiano Osvaldo Licini e Lucio Fontana. Non solo tele, ma anche le due sculture di Fausto Melotti (la n. 21 e la n. 14) che da sole significano tutto. A seguire Mauro Reggiani, sullo sfondo della prima mostra astratta in Italia e delle personali alla galleria “Il Milione”, con un acceso dibattito fra arte astratta e concreta a Milano, Venezia e Firenze. Gli anni Cinquanta si caratterizzano per gli apporti di Gillo Dorfless ed Ettore Sottsass. Il percorso prosegue rappresentanti meno conosciuti, ma ugualmente fondamentali, nell'esperienza astratta italiana (alcuni però sembrano un poco “tirati dentro per le gambe”), Manlio Rho e i comaschi, Alberto Magnelli, Forma 1 e l'astrattismo a Roma nel secondo dopoguerra, fino a Pietro Consagra, Giulio Turcato, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo, Piero Dorazio, la Accardi e tanti altri. A prescindere da alcune forzature nelle influenze, la mostra è completa ed interessante, fornendo per la prima volta un quadro esauriente dell'astrattismo italiano, mai abbastanza indagato. L'emozione inizia nella piazzetta, con la stupefacente “Calamita cosmica”, quello scheletro enorme di Gino De Dominicis.
Milano, Palazzo Reale, fino al 24 giugno 2007, da martedì a domenica dalle 9,30 alle 19,30 (lunedì dalle 14,30 alle 19,30 e giovedì dalle 9,30 alle 22,30), ingresso euro 9,00, catalogo Edizioni Gabriele Mazzotta, infoline 02.54913, sito internet www.kandinskyeastrattismo.it.
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