Classica

Lonquinch e Bach per Glenn Gould a Santa Cecilia

Lonquinch e Bach per Glenn Gould a Santa Cecilia

L'Accademia di Santa Cecilia ed Alexander Lonquich con Cristina Barbuti hanno realizzato un progetto per celebrare degnamente l’artista.

Glenn Gould è stato uno dei personaggi più singolari della musica del Novecento; nella ricorrenza degli 80 anni dalla nascita e dei 30 dalla morte l’Accademia di Santa Cecilia ed Alexander Lonquich con Cristina Barbuti hanno realizzato un progetto per celebrare degnamente l’artista, una personalità sfaccettata di cui potrebbe restare solo l’impronta più spettacolare, quella del genio eccentrico che a trent’anni ha improvvisamente deciso di non esibirsi più in pubblico ma non di lasciare la sua arte. Nell’ombra infatti (ecco perché il progetto si chiama “L’estetica dell’assenza”) ha continuato a studiare, scrivere, suonare, sperimentare. Le grandi incisioni che ci ha lasciato, soprattutto quelle legate a Bach, costituiscono un regalo inestimabile di cui nessuno dei suoi successori potrà fare a meno. Thomas Bernhard, nel suo romanzo “Il soccombente”, così descrive il modo di suonare di Gould: “Si raggrinciò tutto e cominciò a suonare. Suonava per così dire dal basso verso l’alto, non come tutti gli altri dall’alto verso il basso. Era questo il suo segreto”. Il brano suonato da Gould nel romanzo è “Le variazioni Goldberg” che Alexander Lonquich ha proposto al pubblico dell’Auditorium Parco della Musica.

Si tratta di una delle più affascinanti opere di Bach il cui titolo originale è “Aria con diverse variazioni per clavicembalo a due manuali”. Si comincia con la famosa “Aria”, alla quale seguono trenta variazioni scandite con una precisa simmetria, ogni due variazioni un canone, la variazione n.16 divide in due l’opera con una Ouverture francese, dopo l’ultima variazione (Quodlibet, quasi un’improvvisazione) ritorna l’”Aria da capo” che chiude il ciclo. I numeri, le combinazioni le simmetrie, il linguaggio segreto di Bach.

Alexander Lonquich è un grande interprete, l’esecuzione da lui proposta è felicemente pianistica, lontana dalle versioni clavicembalistiche che nascondono l’enfasi tipica delle moderne tastiere. Il pubblico romano ha seguito con grande partecipazione la sua fatica ed alla fine dell’Aria ha dato l’impressione che avrebbe potuto accettare un nuovo ciclo come forse era nelle intenzioni di Bach, un’opera infinita. Applausi intensi e grati.