Micamadonne diretto e interpretato dalla giovane e talentuosa artista umbra Virginia Virilli, va in scena al Teatro Comunale di Narni da sabato 6 a martedì 9 dicembre, il sabato e il lunedì alle 21, domenica alle 17,30 e martedì alle 15.
Virginia Virilli è stata segnalata come nuova attrice under 30 ai premi Ubu e si è aggiudicata il premio nazionale per la drammaturgia Donne e Teatro 2007, proprio con la presentazione, sotto forma di studio, di Micamadonne.
Il Teatro Stabile dell’Umbria ha deciso di produrre questo emozionante lavoro che vede un allestimento per un massimo di 70 spettatori a sera, seduti su delle gradinate collocate sul palcoscenico del teatro.
Il testo, poetico, originale e surreale insieme, è tutto basato su di un linguaggio inedito, immaginoso e ricco, di grande espressività e arricchisce il tema dell’infanzia di una voce decisamente nuova. Un lavoro sulle prime forti voglie e i dolori dei primi anni di vita: riposini pomeridiani sul letto di nonna, sotto il tavolo, docce della piscina... La voce di donna che esprime il gridato e il non detto di bambina, la voce di nonna che in dialetto racconta stralci di vissuto. Il talento di Virginia Virilli è trascinante, tenero e assordante, e anche l’uso del corpo ha un suo linguaggio ed esprime emotività pregnanti, dominando la scena vuota di oggetti ma piena di immagini.
L’artista nelle sue note di regia così presenta lo spettacolo: “Le prime forti voglie, occhi a mandorla aperti e registranti, dita che toccano e incidono tutto - umori, allarmi, contorni umani precisi – sono dell’infanzia, dei primi anni di vita. La loro furia ladra è preziosa, si muove con potenza su emozioni concrete, con un linguaggio che sputa, dipinge relazioni in pochi secondi, si appropria e poi subito via. Non è debole. Non è da proteggere. È una fabbrica molto autonoma.
Un lavoro sui suoi contenuti più ossuti. Di un’infanzia immersa, eroticamente attiva e interiormente mossa che ho vissuto e praticato. Che sa molto, si accorge, costruisce, forte come un muso di cane e taglia, rovina, piange, violenta, sboccia in profondità. Da sotto un tavolo, da una doccia della piscina, da un riposino pomeridiano, da rifugi appartenuti a tutti. Lancio tre attimi, tre spinte, grida e rumori di figlietta, pochi lati morbidi, le sue debolezze non hanno storie, invece mi sono fermata sulle sue sensazioni inedite, spinte ginniche, desideri, sporcizie e sforzi muscolari a contatto con muri ghiacci, pezzi solidi di stanze, tane improvvisate, temperature che si accostano molto all’arte e che a loro modo, penetrando come aghi quotidiani, mi hanno impostato il mondo– la conca spoletina accoglie il tutto, con i suoi ultimi vecchi, le sue pietre grigie sbriciolate, i suoi odori di detersivi umidi.”