Domenica 1 luglio, si è concluso l’interessante e fascinoso percorso teatrale della Liberascenaensemble: “Museum, sale teatrali per un museo mentale”.
Il progetto di Renato Carpentieri, giunto alla sua IX edizione, ha coinvolto, come ogni anno, numerosi operatori teatrali ed ha ottenuto consensi e plausi sia dal pubblico sia dalla critica; il tutto nello splendido scenario della Certosa di San Martino.
Punto d’incontro, il meraviglioso “Chiostro dei Procuratori”. Qui a creare emozionanti suggestioni non è solo l’ambiente, ma il frenetico andirivieni di drammaturghi, registi, attori, musicisti, costumisti, scenografi e tecnici che riducono al minimo la distanza tra costoro e lo spettatore, creando singolari momenti di aggregazione e confronto. Il pubblico è poi invitato a decidere sullo spettacolo da vedere e a raggiungere la sala o il chiostro destinato alla rappresentazione di quello prescelto, originalità che da sempre caratterizza la macchina teatrale della “Liberascenaensemble”.
Alla validità dei testi fanno riscontro la bellezza e la preziosità delle opere di Spadaro, De Rosa, Vaccaro, Solimena, che accompagnano lo spettatore nel suo percorso.
Nove le sale in questione:
LA SALA DELLE FALSE VERITA’
La vera storia di Ah Q
da Lu Hsün
testo di Giuliano Longone
regia di Antonello Cossia
Tratto da una novella di Lu Hsün, autore cinese dei primi del novecento, Giuliano Longone ambienta la storia a Napoli, durante il periodo della rivoluzione del 1799.
Le disavventure di Uosso, un sudicio lazzaro che vive di espedienti e sotterfugi, rappresentano il fulcro della narrazione, ma celano delicate questioni dalle tematiche ben più corpose.
Al centro, un tavolaccio taglia orizzontalmente la scena, creando due piani di rappresentazione. Su di essa, infatti, i protagonisti irrompono, litigano e si cimentano in frenetiche acrobazie; sotto di essa, invece, Uosso trova rifugio, si addormenta e sogna una rivoluzione “tutta sua” dove nobili e “padroni” sono al servizio dei diseredati. Ma egli sempre “si risveglia” e, deluso, lancia il suo grido disperato: “addo’ jamme a fernì si l’uommene se magnano all’uommene”.
Ottima l’interpretazione degli attori tutti (C.caracciolo, M.Cesario, A. Cossia, C. D’Errico, e R. Serrano) che, senza alcun cedimento, mantengono vivo il ritmo della narrazione.
Dinamica ed efficace, infine, la regia di Antonello Cossia.
LA SALA DELLE SCARPE GROSSE
Le sottilissime avventure di Bertoldo
da Giulio Cesare Croce
testo e regia di Stefano Jotti
Il testo, tratto da “Le sottilissime avventure di Bertoldo”, ci narra di due villanacci, il bruttissimo e sagace contadino Bertoldo e la sua consorte, la savia Marcolfa, alla corte del re Alboino.
Benvoluto dal re per l’arguzia delle sue risposte, Bertoldo è costretto a subire l’astio della regina indignata dalla troppa franchezza e dalle eccessive insolenti provocazioni di Bertoldo. Quest’ultimo, dal canto suo, è intento a rivendicare, di fronte al re, la dignità del ceto contadino senza mai ritrattare ciò che dice.
Grassi e di brutto aspetto, i due contadini sopperiscono alla loro fisicità con l’astuzia e la saggezza che li contraddistinguono, al punto da attirare l’invidia dei due regnanti per la loro complicità e felice esistenza.
Simpaticissimi gli attori (A. Conforti, S. Jotti, N. Schiano e R. Serrano) che giocano appieno nel loro ruolo e caratterizzano i personaggi, al punto da renderli fiabeschi ed irreali. Battute comiche e feroci, descrizioni argute e colorite sono le note che emergono dal dialogo, rapido e diretto, dei nostri protagonisti.
Arguta anche la regia di Stefano Jotti che si contraddistingue per la sua freschezza ed il taglio moderno.
LA SALA DELLA BELVA
Quaderni di Serafino Gubbio, operatore
da Luigi Pirandello
testo di Valeria Luchetti
regia di Renato Carpentieri
Nel periodo in cui la tecnologia è esaltata dalla corrente futurista come elemento di progresso e miglioramento sociale, Pirandello, in netta polemica con questa, inveisce contro la meccanizzazione che rende schiavo ogni individuo e ne decreta la fine attraverso la totale perdita d’identità e senso critico.
Con l’avvento del cinematografo anche l’attore, privato del suo pubblico, è coinvolto - secondo l’autore - in questo processo, restandone inesorabilmente vittima.
Una grossa cornice caratterizza la scena e, come al cinema, costringe gli attori in spazi ristretti ad un’unica soluzione dimensionale.
Ed è proprio nei ristretti confini della cornice che si svolge l’intera scena. In essa gli attori intrudono, si agitano e cadono in deliranti crisi esistenziali, in un continuo gioco di protagonismi: un bailamme dal quale nessuno si salva.
Serafino Gubbio, cineoperatore della Kosmograph, assiste incuriosito ma al tempo stesso preoccupato al susseguirsi degli eventi. Egli, nel finale, riprende meccanicamente con la cinepresa una scena terribile che lo porterà tragicamente ad un totale mutismo.
Mirabile il gioco pirandelliano che, nella spumeggiante e fluida regia di Renato Carpentieri, pone l’accento sull’aspetto ironico e gottesco della vicenda, piuttosto che su quello melodrammatico.
Bravi gli attori (I. Falini, A.Ferruzzo, A. Marocco, R. Sferzi e lo stesso Carpentieri nella parte di Serafino Gubbio) che, simpaticamente, caratterizzano i personaggi fino all’estremo, coinvolgendo lo spettatore e catturandone così l’attenzione.
LA SALA DELLA LODI E DEGLI SCONGIURI
La tiorba a taccone
da Filippo Sgruttendio
testo di Elvira Garbato
regia di Lello Serao
Poeta dialettale, improvvisatore e girovago della Napoli del XVII secolo, Filippo Sgruttendio è autore di una raccolta intitolata “La tiorba a taccone”, costituita da sonetti, canzoni, canzonette, liriche popolari e metri svariatissimi.
Ed è da questa raccolta che Elvira Garbato trae spunto per la sua sceneggiatura. Ma non solo: nell’allestimento in questione, tali componimenti popolari prendono forma, e si materializzano dando vita al personaggio di Filippo Sgruttendio che, in continua diatriba con l’invadente ed aggressiva consorte, rivela tutta la sua indole poetica.
Si assiste così, grazie al dinamico eclettismo dei quattro attori protagonisti (C. Caracciolo, C. D’Errico, N. Schiano, M. Vicario), ad un susseguirsi di divertenti e frenetiche scene campestri, in cui si alternano balli, serenate, liriche, canzoni, villanelle, poesie per catubbe, sonetti, imperticate e singolari provocazioni culinarie.
Ottimo il ritmo degli attori in perfetta armonia tra loro e nonchè con la regia spessa ed innovativa di Lello Serao. Il tutto accompagnato dalle efficaci e colorite note di Rosario Del Duca, validamente eseguite da Federico Odling.
LA SALA SCURA
Maria Giuseppa
da Tommmaso Landolfi
testo e regia di Renato Carpentieri
“Maria Giuseppa” è il primo dei sette racconti del “Dialogo dei massimi sistemi” di T. Landolfi.
Giacomo, unico protagonista della pièce, ci narra, con visionaria demenza, dei sentimenti, smanie ed ossessioni che gli provoca Maria Giuseppa, “una campagnola brutta e stupida per natura” dagli occhi “color corpo di ragno” paragonata ad una tigre, poiché, come questa, ruggisce contro il domatore ma fa sempre ciò che lui le ordina.
Si alternano così, in Giacomo, momenti di visionaria follia a momenti di “lucida” e particolareggiata narrazione; quest’ultima guadagna intensità con il pathos della storia e culmina nella violenza nei confronti di Maria Giuseppa, condannando il nostro protagonista ad una triste e drammatica solitudine.
Ottima l’interpretazione di Antonello Cossia che coniuga, in modo esemplare, gestualità e gioco vocale in perfetta sintonia con il carattere del personaggio.
Entusiasta anche il pubblico che lungamente applaude.
LA SALA DEL SEPARÉE
La donna giusta
da Sándor Márai
testo di Fulvio Calise
regia di Lello Serao
In scena, l’elegante arredo d’un bar crea una suggestiva e raccolta ambientazione, ricca di intimità.
Al centro, pannelli sfaccettati come specchi in frantumi conferiscono all’insieme un forte simbolismo.
Qui, l’intreccio è portato all’estremo: i tre protagonisti occupano, a fasi alterne, il centro della narrazione caratterizzata da lunghi monologhi, in un continuo gioco di rimandi tra passato e presente.
Ad accomunarli, la situazione morale in cui si trovano, e i conflitti da cui sono lacerati.
Il chiaroscuro psicologico dei personaggi viene egregiamente posto in evidenza dai toni vocali degli attori (A. Ferruzzo, A. Sirano e Massimo Wertmuller), toni discreti, velati e ricchi di sottili sfumature, in un perfetto equilibrio d’insieme tale da rimandarci, in via diretta, al kammerspiele e alle sue intense atmosfere poetiche.
Elegante e raffinata la regia di Lello Serao.
LA SALA DELLE CENERI
La cena delle ceneri
da Giordano Bruno
Testo di Amedeo Messina
Regia di Lello Serao
I cinque dialoghi della Cena delle Ceneri sono la prima opera italiana, dedicata all’ambasciatore francese a Londra Michel de Castelnau.
In questi, Giordano Bruno, se da un lato riprende la teoria copernicana difendendola contro gli attacchi dei conservatori e contro chi, considera quella di Copernico solo un’ipotesi ingegnosa, dall’altro egli va oltre questa, professando la tesi dell’esistenza di molteplici mondi nell’universo infinito e della mancanza, in esso, di un centro. Ciò comporta un’ulteriore conseguenza: la scomparsa dell’antico ordine gerarchico dei corpi.
Giordano Bruno, pur consapevole che le Scritture sostengono tutt’altro, non desiste dal mantenere fede alle sue teorie, venendo così processato dal “Santo Uffizio” e condannato al rogo il 17 febbraio del 1600.
Il “simposio” ha luogo, nell’allestimento di Lello Serao, in una grande sala rettangolare dall’arredo in legno scuro. Qui, il pubblico occupa i posti adiacenti alla tavola restando inevitabilmente coinvolto ed affascinato dalle dotte asserzioni dei protagonisti.
Alle voci maschili di A. Franco, A. Marocco e Lello Serao (quest’ultimo nella parte di Giordano Bruno) fanno eco due voci femminili, quella esplicativa e scientifica di Ilaria Falini e quella spaventata e scettica di Alesia Sirano restia a “vagare in un infinito nulla”.
I toni della narrazione, pur avendo carattere scientifico-divulgativo, non perdono per questo (grazie alla solenne atmosfera data dai costumi, dall’istallazione e dall’indiscutibile talento degli attori) la loro valenza artistica ed intrinseca poeticità.
LA SALA DELLE DUE FACCE
La caduta
da Albert Camus
testo e regia di Renato Carpentieri
Clamence, ex avvocato “penitente”, confessa la sua cattiva coscienza e la sua colpa in un monologo pieno d’ironia e di sarcasmi. Egli cerca una giustificazione alla propria esistenza, e più in generale a quella dell’essere umano; ma non la trova, diventando così estraneo a se stesso.
Renato Carpentieri, autore, regista ed interprete della pièce, fa vivere allo spettatore, con intensa partecipazione da parte di quest’ultimo, lo stato d’animo del protagonista. Egli alterna, con eccezionale padronanza scenica, momenti di recitazione intimista - in cui dà risalto alla riflessione esistenziale di Clamence - a momenti di assoluta esteriorità, nei quali privilegia una totale interazione con il pubblico che risponde, con emotivo coinvolgimento, alle provocazioni attoriali del nostro interprete.
Ottime, infine, le musiche di Federico Odling, dallo stesso egregiamente eseguite, che conferiscono al testo un maggiore impatto emotivo.
LA SALA DELL’ATTESA
Aspetterò
da Raymond Chandler
testo di Renato Carpentieri
regia di Raffaele Rizzo
L’enigmatica narrazione, a cura di Renato Carpentieri - tratta da I’ll Be Waiting di Raymond Chandler - si svolge, nell’allestimento in questione, in un ambiente dall’atmosfera ambigua, onirica e irreale.
Il repertorio appartiene alla tradizione narrativa dell’hard boilled, con omicidi, hotels equivoci e l’immancabile dark lady.
Forti i riferimenti al cinema noir; qui però la violenza è smussata dai toni più morbidi della narrazione, che esaltano il profilo misterioso e cerebrale dei personaggi, più che la loro brutalità.
Il linguaggio è conciso ed essenziale, libero da suggestioni romantiche e, proprio per questo, non privo di sperimentalismo letterario. Non è un caso che Raymond Chandler venga talvolta definito dalla critica letteraria autore “modernista”.
Bravi gli attori (A. Conforti, A. Esposito, A. Franco, S. Jotti, e Roberta Sferzi) che, con padronanza scenica, ben gestiscono toni e pause in perfetta armonia con l’efficace stile registico di Raffaele Rizzo.
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