Teatro

Teatro: Pirrotta inaugura le Stagioni di Marsciano e Magione

Teatro: Pirrotta inaugura le Stagioni di Marsciano e Magione

Accolto con entusiasmo dal pubblico e dalla critica, anche all’estero (ha rappresentato il Teatro di Roma al XV Festival dell’Unione dei Teatri d’Europa), La Sagra del Signore della nave, singolare testo di Pirandello, messo in scena da Vincenzo Pirrotta con il suo personalissimo e inconfondibile stile, inaugura la stagione del Teatro Concordia di Marsciano sabato 4 novembre e domenica 5 novembre quella del Mengoni di Magione.
Continuando la sua ricerca sui ritmi mediterranei - con la danza, la musica, il canto, la parola recitata che si compenetrano - Pirrotta ci offre uno spettacolo coinvolgente, suggestivo, trascinante, di grande ritmo e impatto visivo, con 13 attori che interpretano ben 36 personaggi e quattro musicisti in scena, dove tra danze orgiastiche, canti rituali, processioni liturgiche, apparizioni di personaggi improbabili, viene fuori in tutta la sua drammaticità la condizione umana raccontata da Pirandello, tanto più tragica quanto più comica e grottesca.
Dice Pirrotta: “Questo Signore della nave l’avevo nel cassetto da tempo, perché mi affascinava la sua atmosfera sacrale, e anche perché volevo lavorare sul grottesco pirandelliano, portandolo all’eccesso. Grazie al grottesco, infatti, si può andare più a fondo nell’animo delle persone e dei personaggi. Tanto più in un testo dove c’è un contrasto forte tra peccato e spiritualità, tra un’atmosfera di festa paesana e l’apparizione finale del Cristo sanguinante”.
Nella prima domenica di settembre, sullo spiazzo davanti una chiesa di campagna (che è, in realtà, la normanna chiesa di San Nicola, appena fuori Agrigento), si svolge la festa del Signore della nave, protettore dei marinai, con il rito della “scanna” del maiale. E là, sullo spiazzo, per la festa, affluiscono signori e popolani, beghine e miracolati, venditori d’ogni mercanzia, suonatori ambulanti, donnacce da trivio, ladruncoli, gaglioffi d’ogni risma. E là sono apparecchiati banchi di mescita, taverne all’aperto, macellerie e vendite di carni suine…
Tutti mangiano, s’ingozzano, si ubriacano, s’imbestiano nell’orgia. Nel bailamme, avviene il dialogo tra il signor Lavaccara (interpretato dallo stesso Pirrotta), che ha venduto al macellaio il suo maiale Nicola, e il Giovane Pedagogo, intercalato da battute del Tavernaio. Lavaccara vuol dimostrare che il suo maiale era intelligente (“Solo la parola, solo la parola gli mancava!”), più intelligente e più umano di tanti “porci” uomini, di tutti quelli che erano là ad ingozzarsi di carne di maiale e ubriacarsi di vino. No e no! Dice il Giovane Pedagogo, un porco è porco perché mangia e s’ingrassa per gli altri; un uomo invece, per quanto maializzato, mangia e s’ingrassa per sé.
I dubbi sul primato dell’umanità raggiungono il culmine nella scena dell’Ode al porco: un’umanità ubriaca, sfrenata, imbestiata che però, al richiamo delle campane, si prostra di fronte a un inquietante Cristo flagellato. E per bocca del Pedagogo l’amara conclusione: “Vedete? Piangono, piangono! Si sono ubriacati, si sono imbestiati, ma eccoli qua ora che piangono dietro al loro Cristo insanguinato! E volete una tragedia più tragedia di questa?”.