Teatro

Tournée italiana per il Faust di Nekrosius

Tournée italiana per il Faust di Nekrosius

Torna per una tournée italiana quel Faust diretto da Eimuntas Nekrosius che aveva debuttato in prima mondiale a Modena nell’ottobre scorso. Faust di Goethe, o meglio, da Goethe: perché come con altri classici che in passato ha affrontato in maniera analoga, il grande regista lituano, che aveva poco più di vent’anni quando Arthur Miller, come ci ricorda il programma, lo definì un genio, non offre tanto una interpretazione, quanto variazioni molto personali su alcuni temi dell’opera. Allo stesso modo una volta virtuosi come Paganini o Liszt sceglievano delle battute da un testo arcinoto e ci ricamavano sopra, sbalordendo con la bravura e l’audacia dei loro ricami. Di spunti goethiani per le quattro ore intervalli compresi del suo spettacolo a Nekrosius ne bastano due o tre. Nel prim’atto (60’) c’è poco più della disputa tra un vecchio Padreterno e un diavolo desideroso di convertire al male il dottor Faust. Nel second’atto (55’), a patto stipulato, la dialettica si sposta tra Mefistofele e il dottore stesso - l’attore è Vladas Bagdonas, interprete storico del Nostro, compatto, robusto, agile, barba bianca e calvizie, già visto come Dio onnipotente - ma non «succede» niente di veramente identificabile. Il terz’atto (90’) è tutto dedicato, invece, a una situazione precisa, ossia all’amore senile di Faust per Margherita, vista quest’ultima come una giovinetta molto allarmata, che non capisce cosa le succede (l’attrice si chiama Elzbieta Latenaìte). Questa, la trama; ma tentare di seguirla puntualmente può essere inutile e persino fuorviante, perché per chi non capisce il lituano comporta la lettura di soprattitoli con stralci di una vecchia e pomposa traduzione, che così isolati non aiutano affatto. Meglio rinunciare a seguire lo sviluppo di un’azione e semplicemente lasciarsi cullare dalla coreografia, spesso ammaliante, su ipnotiche musiche di Faustas Latenas (organo Hammond, e parecchio Adagio per archi di Samuel Barber, quello stesso tanto sfruttato nel film Platoon). Il palco è tutto nero con un lampadario al centro e qua e là certe strane costruzioni, torrette a tronchi di cono che possono far pensare a piccoli trulli di latta; poi entra anche qualche altro elemento, come un enorme osso tipo quelli che rosicchia Pluto. I personaggi sono vestiti di nero anche loro (ma Dio è in bianco), e talvolta si imbacuccano in certi quadrati di gomma o forse plastica. Spesso ripetendo la stessa gag - questo è quasi un marchio di fabbrica di Nekrosius - gli attori si impegnano in attività dal senso poco chiaro, sempre però con una valenza di strano rituale che si impone all’attenzione. Faust per esempio sale su una sedia e alza una gamba a squadra fino a precipitare a terra, per poi puntigliosamente ritentare l’operazione più volte, sempre con lo stesso esito. Coordinata in maniera mirabile, l’équipe dà corpo alle fantasie del demiurgo senza un attimo di incertezza, facendo sbocciare un movimento dall’altro, creando lentamente una sorpresa dopo l’altra; e per chi si contenta dell’illustrazione superficiale di qualche episodio minore dell’immenso capolavoro, ottiene momenti suggestivi. Fonte: La Stampa