Le ultime tre Sonate per pianoforte di Beethoven si configurano ormai nella tradizione concertistica quasi come un’unica opera, data la frequenza con cui vengono proposte insieme e l’ordine di catalogo.
Le ultime tre Sonate per pianoforte di Beethoven si configurano ormai nella tradizione concertistica quasi come un’unica opera, data la frequenza con cui vengono proposte insieme e l’ordine di catalogo. Al di là dell’indiscusso valore che queste opere hanno singolarmente e del fatto che il loro accostamento possa indurre una compressione eccessiva della biografia compositiva dell’autore, l’immaginario comune considera le Sonate Op. 109, Op. 110 e Op. 111 alla luce del loro ruolo congiunto nella storia della musica. Queste opere, scritte tra il 1820 e il 1822, in cui è condensata l’essenza dell’ultima fase compositiva del maestro di Bonn, rappresentano un giro di boa per la produzione pianistica: dopo di loro si cambia passo e tutta la scrittura per pianoforte dovrà farvi i conti. In queste opere Beethoven conclude la sua lunga fase di studio della Sonata per pianoforte che ha prodotto 32 composizioni. Esse presentano estrema sintesi formale, accostamenti stridenti, innovazioni stilistiche, reinterpretazioni della Forma Sonata e della tecnica delle Variazioni. Se pensiamo alle tre Sonate come ad un unicum basta considerare il primo e l’ultimo movimento per notare il rinnovamento stilistico che le composizioni apportano: il primo movimento della Sonata Op. 109 è una sorta di interpretazione minimalista della Forma Sonata in cui i vari elementi compostivi vengono giustapposti senza l’uso delle transizioni caratteristiche del Beethoven del “periodo eroico”. L’Arietta con Variazioni, dell’Op. 111 sembra trasformare le variazioni in un discorso rapsodico la cui struttura si fa sempre più rarefatta fino alla conclusione che ha suscitato in molti la suggestiva immagine della fine storica della Sonata classica per pianoforte. All’interno di questi due movimenti nel concerto si realizza di fronte all’ascoltatore il definitivo superamento della Sonata tardo settecentesca.
Krystian Zimerman si accosta finalmente a queste composizioni dopo una lunga fase di studio. Il risultato è di grande livello e traspare l’umiltà con cui l’interprete si confronta con il testo. Caratteristica del pianista è l’attenzione per il suono, basti pensare che porta sempre con sé il proprio strumento in tournée e che cura personalmente le proprie incisioni. Questa attenzione risulta, nel concerto, in una qualità di suono altissima che è messa al servizio del testo e avulsa da qualsiasi tentazione manieristica. L’interpretazione è caratterizzata da una sorta di “costanza” di intenzione e i contrasti caratteristici del testo non ne risultano molto enfatizzati. Alla fine del concerto Zimerman sdrammatizza la monumentalità del programma regalandoci come bis un enfatico Chiaro di Luna che si trasforma in un “Tanti Auguri a Te” dedicato al compleanno del suo collaboratore che cura la messa a punto dello strumento.
Caloroso il successo del pubblico di Santa Cecilia per un appuntamento imperdibile all'Auditorium Parco della Musica.