Va di moda la tv sulla moda

Va di moda la tv sulla moda

Una, ha appena compiuto vent’anni. L’altra, tre mesi. Una non è neppure nata. Eppure hanno un successo sproporzionato rispetto al loro valore. Sono i telefilm, i reality, le soap dedicate al mondo della moda, agli ambienti ovattati e gonfi di glamour degli atelier dove lo stile la dovrebbe fare da padrone e dove invece si intrecciano amori, corna, ripicche e ogni sorta di nefandezze. Piace da impazzire e raccoglie schiere di affezionate, Fashion House, in onda su Sky Vivo all’ora del tè. Di vestiti non se ne vedono molti e quei pochi sembrano scarti anni Ottanta. Però la Beautiful del Duemila in fatto di intrecci amorosi non è seconda a nessuno. In quest’orgia di sentimenti (e mai, mai una sfilata di moda neppure per sbaglio d’inquadratura viene messa in scena) ben si rappresenta Bo Derek (proprio la conturbante protagonista di «10») rinfrescata a dovere nel viso e nel corpo, Morgan Fairchild, anche lei gloria televisiva fine anni Settanta e, addirittura la mitica Tippy Hedren, indimenticata musa di Hitchcock. Bellissima la giovane protagonista, al secolo Natalie Martinez, naturalmente desiderata da tutti gli uomini e odiata da tutte le donne. Sempre in tema Sky Vivo offre un reality che vorrebbe indagare nell’ambiente della moda. Il titolo vale il programma: «Project Runaway, Taglia, cuci e ...sfila!» nel quale la competizione si consuma a colpi di ago e filo. Conduce la top model Heidi Klum che ha personalmente contribuito a selezionare dodici combattivi designers che saranno poi giudicati da esperti. I tre finalisti avranno la possibilità di far sfilare i loro capi nel corso della settimana della moda a New York. Due milioni di telespettatori a puntata è la media statunitense. E, sempre in tema di reality, la stessa sky non poteva farsi mancare «America’s next top model», ideato e condotto da Tyra Banks. Negli Usa è un cult perché è esattamente quello che il sogno americano promette; una semplice ragazza in mezzo a tante altre che si trasforma in supermodella. La posta in gioco è un contratto con l’agenzia Ford Models, un servizio fotografico su Elle e un milione di dollari. Ma, oltre al successo di pubblico, questi telefilm servono alla moda oppure le fanno del male? Risponde il presidente di AltaRoma nonché amministratore delegato della Maison Gattinoni, Stefano Dominella: «Non c’è niente di più falso e di più deleterio della trasposizione televisiva di un atelier di moda; persino i personaggi scelti nei ruoli chiave del nostro settore sono fasulli. Mi meraviglia che dopo tanti anni non sia stata fatta una ricerca più approfondita e che il settore scateni solo una fantasia di luoghi comuni. Tutto questo ci danneggia. Invece sarebbe interessante vedere una fiction che attraverso un atelier storico ripercorre i cambiamenti sociali del nostro paese; perciò ho depositato l’idea di un film per la televisione appunto concepito così. Fashion House è divertente ma è fuori dal mondo. E poi vorrei sapere chi veste in quel modo assurdo quelle povere attrici. Anche Alan Freedman per La7 ricostruì uno studio stile con una selezione di giovani che uscivano da scuola di formazione impegnati a fare una collezione che poi veniva giudicata da esperti. Andò malissimo». Perché l’unico programma a fare veramente moda è stato «Sex & the city» che poi di moda non parlava? «Perché lì si vestivano delle donne cult, erano degli stereotipi di caratteri così ben definiti da diventare dei simboli per chi voleva avvicinarsi a quel prototipo; Lì non è la moda ma il personaggio che comanda e chi vuole identificarsi deve cominciare col vestirsi nello stesso modo. Comunque da tutte queste nuove fiction sulla moda emerge un solo dato certo: L’America non è un paese di moda».