In previsione dell'Anno Verdiano 2001, giunse a Franco Zeffirelli la richiesta d'una regia per il piccolo palcoscenico del Teatro Verdi di Busseto.
In previsione dell'Anno Verdiano 2001, giunse a Franco Zeffirelli la richiesta d'una regia per il piccolo palcoscenico del Teatro Verdi di Busseto. Decidesse pure lui il titolo. E la sua scelta cadde inaspettatamente su Aida, l'opera da sempre legata a rappresentazioni più o meno pompose. Una bizzarra sfida, raccolta forse perché il regista fiorentino aveva raggiunto tre anni prima un traguardo forse invalicabile, con la megagalattica Aida creata per l'inaugurazione dello Imperial State Theatre di Tokyo.
Piccola sì, ma con tutto quello che serve...
Al Festival Verdi 2019, e di nuovo nell'agreste patria di Verdi, ecco tornare in scena ripresa da Stefano Trespodi questa “Aidina”, come la chiamò Zeffirelli. La quale, però, a conti fatti ha tutto: una regia dinamica e leggera, coreografie agili, costumi elegantissimi, scene che evocano una certa monumentalità, senza che la monumentalità ci sia per davvero. Grandi statue di divinità comprese, messe ora qui, ora là, a variare il modesto spazio scenico. Allestimento che, per la sua piacevolezza e praticità, venne in seguito accolto in molte altre sale nostrane.
Quindici talenti in gara
Tre i cast radunati nelle 10 recite complessive, composti da giovani leve della lirica del futuro. Con una maggioranza di presenze straniere, Corea (ovviamente) compresa. Tutti malauguratamente condannati ad esprimersi in un ambiente dall'acustica arida, nell'ostica ricerca d'un disagevole equilibrio sonoro: difficile regolarsi nel volume, col rischio di strafare in spazio così esiguo. Come accade con il Radamés del tenore ucraino Denis Pivnitiskyi, che ha sciupato un cospicuo talento – robusta qualità di voce, emissione generosa, incisività d'accento, piglio sicuro – lanciandosi in un canto solo di forza, sfogato, senza mezze tinte.
Un pochino sopra le righe in qualche frase risulterebbe anche l'Amonasro di Krassen Kargiozov; però, in linea di massima, troviamo in questo baritono bulgaro un'andatura più saggia, unita a bella gamma di colori ed un soddisfacente fraseggio. Insomma, una personalità d'interessante caratura vocale. I due bassi Andrea Pellegrini e Renzo Ran figurano più che bene nei rispettivi ruoli (Ramfis ed il Re). A modo il messaggero di Manuel Rodriguez.
Meglio le voci femminili
Maggiore equilibrio nei ruoli femminili, là dove il soprano turco Barçin Savigne impersona il ruolo del titolo penetrandone bene il carattere, e fa mostra di un'emissione interessante, buona ricerca di sfumature e di chiaroscuri, e nel timbro d'uno smalto luminoso. Ci sono, cioè, tutte le premesse per un'Aida di levatura superiore. Il mezzosoprano russo Maria Ermolaeva elabora con buona attenzione psicologica la sua Amneris; forse il materiale vocale in sé non è proprio superlativo, ma l'attenta diligenza e la ponderatezza con cui viene impiegato meritano il nostro plauso. Ottima la Sacerdotessa di Chiara Mogini.
La direzione di Michelangelo Mazza, a capo dell'Orchestra del Comunale di Bologna presente a ranghi ridotti - un contrabbasso uno, di più non ci sta in buca – resta nei confini di una buona professionalità: ragionevole nei tempi e nelle dinamiche, abbastanza ligia ai dettagli, ma non fa mostra di eccessiva immaginazione. D'altro canto, lavorare con tre cast diversi non permette certo un adeguato lavoro di scavo, e questo ben lo comprendiamo. Dal teatro felsineo viene anche il limitato (nel numero, non nella qualità) complesso corale.