Lirica
ANDREA CHéNIER

Un'opera in cui le voci contano, eccome: a Modena in scena “Andrea Chénier”

Andrea Chénier
Andrea Chénier © Rolando Paolo Guerzoni

Ogni volta che si assiste ad una recita di Andrea Chénier - appena visto al Teatro Pavarotti di Modena – come ad un altro qualsiasi titolo del repertorio a cavallo tra '800 e '900, vien da pensare che...

E' la solita storia: ogni volta che si assiste ad una recita di Andrea Chénier - appena visto al Teatro Pavarotti di Modena – come ad un altro qualsiasi titolo del repertorio a cavallo tra '800 e '900, vien da pensare che le voci adatte non esistono quasi più. Perché i loro autori contavano sulla disponibilità di interpreti dalla pressoché inesauribile generosità vocale. Basti pensare al Gérard di Carlo Galeffi, che incise nel 1930 tutto il capolavoro di Giordano. O più vicino a noi, al tellurico Ratcliff di Pier Miranda Ferraro. Le lande nordiche, che dispongono di una buona riserva di cantanti wagneriani e straussiani, se la passano bene. Noi, un pochino meno.

Non ci sono forse più le voci di una volta...

E così ci tocca chiamare un tenore brasiliano perfezionatosi in Germania, Martin Muehle, che in queste recite modenesi offre il suo Chénier: dalla debordante retorica, molto infervorato ma alla fine pure un po' monocorde. E' però un autentico tenore drammatico, di cui apprezziamo un registro centrale – quello su cui è impostata tutta questa figura – ricco di armonici; un legato abbastanza pertinente; ma sopra tutto una colonna di fiato che non va mai in riserva. Ma tanto non basterebbe, mancando nel suo procedere la resa di molte delle sfumature necessarie; il pubblico gli tributa malgrado ciò grandi applausi alla fine degli slanci romantici dell'Improvviso – incerto all'inizio, poi in crescendo - e di ”Come un bel dì”, e della perorazione di ”Sì, fui soldato”.



Saioa Hernández debutta nelle vesti di Maddalena, che le riesce un po' più matronale che trepidante e fragile, e manca quindi di verosimiglianza. Ma non di temperamento, a dire il vero. Sale agli acuti con scioltezza e li mantiene con sicurezza, è padrona del registro medio ma certi suoni gravi – su cui Giordano indugia spesso – appaiono poco consistenti. Nondimeno, con un'efficace ”La mamma morta” si conquista anch'essa il generoso consenso del pubblico.

Gérard è consegnato a Claudio Sgura, il quale mette in campo una rocciosa emissione ed un'arroventata espressività, in una piena percezione del carattere e della linea di canto necessari al suo personaggio. Che – attenzione - è molto più complesso di quello di Chénier, dalla impervia tessitura di ”Son sessant'anni” ai ripiegamenti meditativi di ”Nemico della patria!?”. Nozomi Kato è una suadente Bersi, Stefano Marchisio un eccellente Roucher, Antonella Colaianni una commovente Madelon. Nello stuolo dei comprimari troviamo Shay Bloch (Contessa), Alex Martini (Fléville/Tinville), Fellipe Oliviera (Mathieu), Alfonso Zambuto (l'Incredibile), Roberto Carli (Abate), Stefano Cescatti (Schmidt), Luca Marchesi (il Maestro di casa/Dumas). Tutti di buon rilievo.


...ma le buone orchestre aumentano

L'Orchestra Regionale dell'Emilia-Romagna lavora con partecipazione e diligenza. E' diretta con gesto saldo e vigorosa teatralità da Aldo Sisillo, il quale dosa con sapienza il climax emotivo, senza scadere mai nell'enfasi. Cura abilmente nuances e colori – la partitura di Giordano è varia e preziosa, ricca di dettagli musicali anche minuti – mostrando un forte senso drammatico nelle scene centrali, e schietta energia nello svolgere le scene di massa. Momenti questi, assai importanti in un'opera dallo sfondo storico dove le folle fanno da padrone; e nei quali il Coro Lirico Terre Verdiane, curato da Stefano Colò, svolge a dovere il suo compito.

Quanto alla regia di Nicola Berloffa, non spicca certo per originalità: allentata, inerte, didascalica, non fa mostra di grandi idee. Gli eventi accadono, e basta. Il popolo parigino, poi, pare disposto come in un presepe napoletano, affollato di belle statuine; e l'impressione è rafforzata dai calligrafici costumi di Edoardo Russo. Salviamo però le efficacissime idee scenografie di Justin Arienti. Queste due recite modenesi – vivamente apprezzate in un teatro sempre esaurito - varavano un nuovo allestimento in coproduzione con i teatri di Reggio Emilia, Piacenza, Parma, Ravenna e Tolone.

Visto il 17-02-2019